Giuseppe Pezzini su Il sogno di Númenor: "Tolkien e la riscrittura di Atlantide"
- Monica Di Pillo
- 16 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Tra i molti temi emersi nel primo giorno di Sentieri Tolkieniani 2025, uno ha suscitato particolare emozione e riflessione tra il pubblico radunato al Castello di Macello: Númenor, l’isola perduta del legendarium tolkieniano, interpretata come una personale riscrittura del mito di Atlantide. A guidare la riflessione è stato ancora una volta Giuseppe Pezzini, docente di filologia classica a Oxford e tra i più importanti studiosi della ricezione classica in Tolkien.
L’analisi è partita da un dato biografico sorprendente, intimo, onirico: Tolkien sognava l’onda.
Il sogno dell’onda
Tolkien, racconta Pezzini, descrisse più volte nei suoi scritti un sogno ricorrente: una gigantesca onda marina che travolge la terra. Un sogno inquietante, primitivo, archetipico. Lo chiamava the Atlantis Dream — il sogno di Atlantide.
Non si trattava di una semplice suggestione estetica, ma di una vera ossessione simbolica che, secondo lo stesso autore, fu uno dei nuclei fondanti della nascita del mito di Númenor, l’isola fiera, potente, tragicamente condannata alla rovina per hybris e orgoglio.
È affascinante notare come, nella visione tolkieniana, la genesi narrativa parta non tanto da Platone, ma da un sogno personale, una visione interiore che poi trova risonanze nel mito classico.
Atlantide e Platone: il mito incompleto
Platone, nei dialoghi Timeo e Crizia, racconta la storia di Atlantide: una civiltà avanzata, situata oltre le Colonne d’Ercole, che prospera grazie alla giustizia e alla virtù, ma che, per colpa della sua corruzione, viene distrutta dagli dèi. Il racconto si interrompe bruscamente: ci manca il finale.
Tolkien — come ha spiegato Pezzini — era affascinato proprio da questa mancanza. All’inizio, la sua idea era quella di completare il racconto di Platone, offrire una “versione alternativa” dello stesso evento, vista da un altro punto di vista. Come se, spostando la telecamera narrativa, potessimo osservare il crollo di Atlantide con nuovi occhi.
Ma presto questo desiderio si trasformò in qualcosa di più profondo: non riscrivere Platone, ma scrivere come Platone.Non imitare un mito, ma crearne uno nuovo, ispirato alla stessa urgenza di significato.
Númenor: l’Atlantide del legendarium
Così nasce Númenor: l’isola dei Dúnedain, uomini superiori per sapienza, bellezza e longevità, destinatari di un dono divino, ma fatalmente attratti dalla trasgressione del limite. La loro rovina è il risultato della volontà di dominare la morte, di raggiungere l’immortalità.
In questo, il parallelismo con Atlantide è chiaro. Ma Tolkien non si ferma alla semplice analogia. Come sottolinea Pezzini, il mito di Númenor è una riflessione morale e teologica sulla caduta dell’uomo, molto più vicina alla tragedia cristiana che alla punizione divina del mondo classico.
Se gli dèi di Platone puniscono per ristabilire l’ordine cosmico, i Valar di Tolkien agiscono con dolore, non con ira. La distruzione di Númenor è una ferita, non una vendetta. Una ferita che anticipa le altre perdite della Terra di Mezzo: Gondolin, Beleriand, persino il ritorno di Frodo alla fine del Signore degli Anelli.
L’archetipo e la focalizzazione
L’operazione di Tolkien, spiega Pezzini, non è genealogica (non è un “da Platone a Tolkien”) ma letteraria. È come se Tolkien volesse partecipare a una “memoria archetipica comune”, offrendo la sua versione dell’evento.
In questo senso, Númenor non è solo Atlantide. È anche Roma, Babilonia, Tebe, Gerusalemme, Hiroshima. È ogni civiltà che si crede eterna e invece implode. Tolkien racconta un evento universale: la fragilità del potere umano e il desiderio, sempre insoddisfatto, di sfidare il divino.
La modernità di una rovina
Nel dialogo con il moderatore Pierluigi Cuccitto, Pezzini ha chiarito che Tolkien non “modernizza” Platone. Lo rivisitada un altro tempo, lo attraversa con altri strumenti. La sua Atlantide è anche la metafora del XX secolo: la corsa agli armamenti, la distruzione tecnologica, l’illusione dell’onnipotenza umana.
“Se Númenor crolla per eccesso di potere,” ha detto Cuccitto, “non è forse lo stesso destino di molte potenze moderne?”
Ed ecco che la mitopoiesi tolkieniana si rivela più attuale che mai.
Númenor siamo noi?
Tolkien stesso, nelle Lettere, definisce Númenor come la sua Atlantide personale, un simbolo dell’eterna tentazione dell’uomo a oltrepassare i limiti imposti dalla sua condizione.
Il racconto di Númenor, allora, non è solo una grande pagina fantasy. È un monito, un lamento, un sogno d’acqua e di pietra. E forse, come in ogni sogno, si riflette la realtà.
A Sentieri Tolkieniani 2025, nel cuore di un castello medievale trasformato in cittadella culturale, questa riflessione ha trovato un’eco profonda. Perché oggi, forse più che mai, abbiamo bisogno di nuovi miti per capire le nostre vecchie paure.