top of page
  • Immagine del redattoreFrancesco Calvi

GIOCHI DA TAVOLO: Strategia

Editoriale

di Armando Di Bucchianico

Terzo appuntamento della rubrica settimanale curata dall'autore e critico ludico Francesco Calvi che, ogni venerdì, si interroga sul rapporto tra Antica Grecia e Giochi da Tavolo. Siamo arrivati a metà del nostro viaggio e, in questo articolo, si vuol focalizzare l'attenzione sugli input di strategia che il mondo ludico rilascia sin dall'alba dei propri tempi.


I Greci li chiamavano Petteìa: i giochi da tavolo formati da un tavoliere, solitamente in legno o pietra e a volte diviso in caselle, da pedine da muovere e/o dadi da lanciare. Si tratta di giochi di riflessione, in cui durante il proprio turno bisogna pensare alle mosse e tattiche da eseguire.

Tra i giochi di strategia conosciamo alcuni titoli in modo parziale o completo: un gioco di guerra con un tabellone diviso a caselle, il Pentagramma, il gioco della Città e il Diagrammismòs.


Il gioco di guerra era formato da un tavoliere diviso a caselle 8x8, in cui i giocatori schieravano sui lati opposti 8 pedine a testa. Le pedine rappresentavano il loro esercito. L'obiettivo era circondare una pedina avversaria con 2 delle proprie pedine in modo da catturarla.

Il Pentagramma, chiamato anche Pentagrammai o gioco delle cinque linee, deriva il suo nome dal fatto che ciascuno dei due avversari disponeva di 5 pedine su 5 linee. Al centro del tabellone rettangolare, una linea, detta sacra, divideva i due gruppi di pedine.Per giocare si utilizzavano anche due dadi a 6 facce, con i numeri da 1 a 6. Lo scopo del gioco era portare tutte le proprie pedine sulla linea sacra. I giocatori lanciavano i dadi e muovavano, in senso antiorario, una pedina di un numero di caselle pari alla somma dei risultati ottenuti. Una pedina doveva sempre terminare il movimento su una casella vuota, con l'esclusione della linea sacra, altrimenti non poteva essere mossa. Era sempre obbligatorio muovere almeno una pedina, anche se significava spostarla via dalla linea sacra.

Lo menziona Sofocle: "una tavola di cinque linee e lanci di dado".


Il gioco della Città si praticava su una tavola delimitata da linee che formavano caselle chiamate "città", con trenta pedine chiamate kua, quindici per ciascun giocatore, distinte dal diverso colore.

Lo menziona Platone, riferendosi agli stati della Grecia: "ciascuno di essi è costituito da numerosissime città, non di una sola, come nel noto gioco".Il Diagrammismòs, di cui ne parla Polluce, era probabilmente una variante del Gioco della Città, in cui si utilizzavano 30 pedine a testa invece di 15.

bottom of page