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Dall’Aulos al Pop: Eurovision e Antica Grecia, quando la musica unisce i popoli

Ogni anno, milioni di spettatori da tutta Europa (e oltre) si riuniscono virtualmente per assistere all’Eurovision Song Contest, il più grande evento musicale transnazionale del mondo. Colori, suoni, bandiere, votazioni in diretta, pathos e performance spettacolari lo rendono un fenomeno unico nel suo genere. Ma cosa succederebbe se provassimo a guardare all’Eurovision con gli occhi di un cittadino dell’Antica Grecia? Scopriremmo forse più affinità di quanto potremmo immaginare.



Competizione e arte: un binomio antico

Nell’Antica Grecia, l’arte era celebrata attraverso la competizione. Oltre agli agoni sportivi delle Olimpiadi, si svolgevano agoni poetici, musicali e teatrali durante feste religiose come le Dionisie o i Giochi Pitici di Delfi. Anche allora, artisti da diverse “nazioni” – cioè città-stato come Atene, Sparta o Corinto – si sfidavano in pubblico per ottenere il favore della folla e la gloria eterna.

L’Eurovision non è così distante: una gara canora in cui le nazioni si presentano con una propria “voce”, un proprio stile e un messaggio, cercando di colpire e sedurre un pubblico internazionale. Come allora, la vittoria non è solo un trionfo artistico, ma anche culturale e simbolico.



Il teatro musicale: un’eredità ellenica

I Greci furono i primi a portare la musica sul palco come mezzo drammatico, creando il teatro come lo conosciamo. I cori, gli strumenti (come l’aulos, un oboe primitivo), le danze rituali: ogni elemento era pensato per emozionare e coinvolgere il pubblico.

L’Eurovision, con le sue coreografie, scenografie futuristiche e narrazioni simboliche (basti pensare all’esibizione dell’Ucraina nel 2022 o al glam teatrale dell’Italia nel 2021 con i Måneskin), si muove nello stesso solco di uno spettacolo totale. È la versione pop e digitale dei grandi drammi greci: emozione, tensione, colpi di scena e applausi (o fischi) globali.



Il ruolo del pubblico

Nell’Atene classica, il pubblico aveva un ruolo determinante nel decretare il successo di un’opera. Durante le Dionisie, erano i cittadini a votare le migliori tragedie e commedie, con sistemi che ricordano sorprendentemente il televoto moderno.

All’Eurovision, il pubblico europeo e le giurie nazionali decidono chi merita la vittoria. Anche qui, la soggettività, il gusto e le strategie geopolitiche influenzano l’esito – proprio come accadeva quando Eschilo, Sofocle ed Euripide si sfidavano per la corona d’edera.



Simboli e identità

Ogni esibizione all’Eurovision è un piccolo atto identitario. Nazioni come la Grecia o la Serbia tendono a inserire elementi della propria cultura: strumenti tradizionali, ritmi folk, costumi evocativi. È un modo per affermare con orgoglio la propria unicità all’interno del mosaico europeo.

Lo stesso avveniva nei festival panellenici. I partecipanti rappresentavano la propria città e, spesso, cercavano di distinguersi con stili poetici e musicali originali. Anche in quel contesto, si trattava di dare voce a una cultura attraverso l’arte.



Eurovision 2025: una nuova Olimpiade musicale?

L’edizione 2025 dell’Eurovision si tiene in Svizzera, a Ginevra, in seguito alla vittoria di Nemo nel 2024 con l’iconico brano “The Code”, un inno queer e innovativo. La sede scelta, il Palexpo, ospiterà 37 nazioni, tra cui anche alcune “ospiti” come Australia, Israele e Georgia – a conferma della vocazione internazionale dell’evento.

Tra i favoriti di quest’anno ci sono:

  • Francia, con una ballata struggente ispirata alla mitologia classica.

  • Svezia, sempre forte, che punta su un mix elettro-folk con richiami vichinghi.

  • Grecia, con una performance fortemente teatrale intitolata “Kleio”, nome di una delle Muse: un brano in greco antico e moderno, un ponte fra le epoche.

Non mancheranno sorprese, colpi di scena e, come sempre, dibattiti accesi su chi meritava davvero di vincere.



Un’arte che unisce

L’Eurovision, al pari dei giochi e dei festival dell’Antica Grecia, ci ricorda che la musica – e l’arte in generale – è una lingua universale, capace di unire le differenze. È il moderno agone di una civiltà che, nonostante i confini, cerca costantemente di riconoscersi in qualcosa di condiviso.

Come gli spettatori del teatro di Dioniso, anche noi ci emozioniamo, discutiamo, votiamo. E in quel momento, siamo parte di una polis, non più greca ma europea, forse globale.

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di Armando Di Bucchianico.

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