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- Christopher Nolan e il suo Nostos nell'Epica: uno sguardo a The Odyssey
Negli ultimi giorni, il mondo del cinema e della cultura classica è stato scosso dalla pubblicazione di un'immagine ufficiale da parte di Universal Pictures relativa a "The Odyssey", il prossimo film di Christopher Nolan. Il regista britannico, noto per il suo approccio ambizioso e sperimentale, ha deciso di cimentarsi con una delle storie più iconiche della letteratura: l'epopea di Omero, il lungo e travagliato ritorno di Ulisse verso Itaca dopo la guerra di Troia. L'immagine che ha acceso il dibattito La foto, diffusa attraverso i canali social di Universal, ha immediatamente suscitato un acceso dibattito tra esperti di storia, appassionati di cinema e amanti della cultura classica. Nell'immagine si può osservare Matt Damon nei panni di Ulisse, con un'armatura che sembra fondere elementi dell’antichità con uno stile cinematografico più moderno. Accanto a lui, intravediamo una figura femminile, che alcuni ipotizzano possa essere Penelope (forse interpretata da Anne Hathaway) o una delle molte donne incontrate dal protagonista nel suo viaggio. La scelta stilistica di Nolan non è mai banale: basti pensare al modo in cui ha reinterpretato la Seconda Guerra Mondiale in "Dunkirk" o la fisica quantistica in "Interstellar". Tuttavia, alcuni puristi della storia hanno sollevato dubbi sull'accuratezza dei costumi e sulla potenziale libertà creativa che il regista potrebbe prendersi rispetto alla narrazione omerica. Il cast e l’aspettativa per il film Oltre a Matt Damon, il cast vanta nomi di primo piano come Zendaya, Tom Holland, Robert Pattinson, Lupita Nyong'o e Charlize Theron, delineando un progetto ambizioso che potrebbe rivelarsi una delle pellicole più attese del 2026. L’uso di tecnologie IMAX di ultima generazione e le riprese in location suggestive come la Sicilia e il Marocco fanno presagire un’opera visivamente spettacolare. Nolan e la mitologia: un'accoppiata vincente? L'adattamento di un'opera come l'"Odissea" è un'impresa ardua. Il poema epico è intriso di elementi fantastici, creature mitologiche e divinità capricciose: tutti aspetti che potrebbero entrare in conflitto con lo stile realistico e scientifico di Nolan. Tuttavia, è anche vero che il regista ha dimostrato di saper rielaborare concetti astratti e filosofici in chiave cinematografica, e questo potrebbe dare nuova linfa al mito di Ulisse. Ci si chiede dunque quale sarà il taglio che il regista deciderà di dare al racconto: seguirà la narrazione classica o apporterà modifiche radicali, come accaduto in precedenti trasposizioni? Il pubblico e gli studiosi del mondo antico attendono con curiosità ulteriori dettagli e, soprattutto, un primo trailer che possa fornire qualche indizio in più. Conclusione: un'opportunità per la cultura classica? Indipendentemente dalle scelte artistiche di Nolan, "The Odyssey" rappresenta un'importante occasione per riportare sotto i riflettori il mondo della mitologia greca. Il cinema, come spesso accade, potrebbe fungere da ponte tra il grande pubblico e la cultura classica, stimolando una nuova ondata di interesse per la letteratura antica. Noi di Neosellen seguiremo con attenzione gli sviluppi di questo progetto e continueremo a esplorare il rapporto tra cinema e mondo antico. Nel frattempo, cosa ne pensate dell'immagine rilasciata da Universal? Nolan riuscirà a rendere giustizia all’epopea di Omero o assisteremo a un’ennesima reinterpretazione controversa?
- Il Metodo Socratico e le Riunioni di Lavoro: fare domande giuste per ottenere risposte migliori
Quante volte ti è capitato di uscire da una riunione con la sensazione di aver perso tempo? Idee buttate lì senza struttura, discussioni che si trascinano, decisioni rimandate o prese in modo superficiale. Una consuetudine fin troppo diffusa nel mondo del lavoro contemporaneo, dove spesso le riunioni diventano routine, più che strumenti reali di collaborazione e confronto.
- Democrazia e Social Media: come sarebbe la Polis nell'Era Digitale?
La democrazia — nel suo significato più profondo — è nata nell’antica Atene. Lì, nel cuore pulsante della città, i cittadini si riunivano nell’agorà , una grande piazza pubblica dove si discuteva di leggi, giustizia, filosofia, beni comuni. La partecipazione era diretta: chi aveva il diritto di cittadinanza (escludendo donne, schiavi e stranieri) poteva proporre, discutere, votare . Il dibattito era considerato un dovere civico, un esercizio necessario per il funzionamento della polis . Oggi, a distanza di oltre duemila anni, quell’agorà non è scomparsa. Si è semplicemente trasformata , migrando dal mondo fisico a quello digitale. I luoghi del confronto collettivo sono diventati social media, forum, piattaforme di streaming . Twitter, Facebook, TikTok: sono le nuove piazze dove si esprime opinione, si discute di politica, si costruisce — o si distrugge — il consenso. Ma questa nuova “polis” virtuale rispecchia davvero lo spirito della democrazia ateniese? O ne è solo un’ombra digitale, dove la partecipazione si confonde con il rumore e la verità cede il passo alla viralità? L’antica agorà: un social network ante litteram? Nell’Atene del V secolo a.C., la democrazia funzionava attraverso il contatto diretto. I cittadini, riuniti nell’assemblea, partecipavano attivamente alle decisioni pubbliche. Il dibattito era regolato, la parola veniva concessa secondo turni, e la retorica — l’arte di parlare in modo persuasivo — era una disciplina fondamentale, insegnata e praticata. Nel confronto, si presumeva che la razionalità prevalesse sull’emozione , e che ogni cittadino dovesse ascoltare anche idee opposte alle proprie, prima di formarsi un’opinione. Oggi, la scena è cambiata: l’assemblea è globale , accessibile a tutti, ma anche frammentata, confusa, priva di filtri condivisi. Il dialogo pubblico si è spostato nei commenti sotto i post, nei video brevi, nei tweet virali. È più inclusivo, certo, ma spesso meno profondo e meno regolato . Se nella polis greca si cercava la verità attraverso il confronto ordinato, oggi si rischia che la voce più forte copra tutte le altre . Partecipazione o illusione democratica? I social media ci permettono di esprimere opinioni in tempo reale, su qualsiasi argomento. Ma questa apparente libertà coincide davvero con una maggiore partecipazione politica ? In molti casi, no. L’attivismo online si riduce spesso a una forma di partecipazione superficiale : condividere un post, mettere un “mi piace”, scrivere un commento indignato. Sono gesti simbolici, ma non incidono concretamente nel processo decisionale. I Greci avrebbero probabilmente criticato questa abitudine come una forma di “pseudo-civicità”, utile forse a livello individuale, ma poco efficace sul piano collettivo. Inoltre, manca un sistema di regole condivise per proteggere la qualità del confronto. Le fake news circolano liberamente, e chi manipola l’informazione lo fa senza conseguenze reali . La retorica — che per i Greci era una competenza, quasi un dovere — oggi può essere facilmente distorta per ottenere visibilità o scatenare indignazione. E poi c’è la questione delle “bolle informative”: i social ci mostrano contenuti simili ai nostri interessi , rafforzando le nostre convinzioni e allontanandoci dalle opinioni altrui. La democrazia, però, vive proprio nel confronto tra diversità. Se tutti crediamo di avere ragione, chi è disposto ad ascoltare davvero? Il ritorno della demagogia: consenso senza contenuti Platone, critico della democrazia ateniese, temeva che il popolo potesse essere facilmente sedotto da leader carismatici, capaci di suscitare emozioni ma privi di sostanza. Chiamava questo fenomeno “demagogia” : il dominio della folla ottenuto attraverso discorsi ad effetto, più che attraverso il ragionamento. Oggi, l’efficacia della comunicazione politica dipende sempre più dalla capacità di creare contenuti virali , brevi, memorabili. Un video su TikTok può influenzare più opinioni di una conferenza stampa. Un tweet provocatorio può ottenere più consensi di un programma politico articolato. Nella polis ateniese, l’oratore doveva esporsi in pubblico, rispondere alle obiezioni, convincere con la logica. Oggi, basta colpire l’emotività , generare reazioni immediate, creare polarizzazione. Il rischio è che la popolarità diventi più importante della competenza . E questo Platone lo avrebbe visto come un segnale inquietante. Chi comanda oggi? Gli algoritmi Nell’antica Atene, alcune cariche politiche venivano assegnate a sorte tra i cittadini per evitare la concentrazione del potere . Oggi, invece, gran parte del potere decisionale è nelle mani di algoritmi proprietari , invisibili, opachi. Sono loro a stabilire quali contenuti vediamo , in quale ordine, con quale frequenza. Non siamo più noi a scegliere come informarci: è il sistema a scegliere per noi, sulla base di ciò che attira la nostra attenzione. I contenuti più virali — non necessariamente i più veri — ottengono maggiore visibilità. In questo modo, la qualità del dibattito pubblico viene sacrificata sull’altare dell’engagement . Se Aristotele potesse osservare questo meccanismo, lo troverebbe probabilmente inaccettabile. Per lui, la politica era un processo razionale collettivo , non una gara di visibilità. Affidare la formazione dell’opinione pubblica a logiche automatiche e commerciali significherebbe, dal suo punto di vista, tradire lo spirito stesso della democrazia . Una nuova polis è possibile? La polis 2.0 non è un’utopia. Potremmo immaginare spazi digitali più vicini al modello greco, in cui il confronto sia regolato, rispettoso, equo . Come? Seguendo alcuni principi fondamentali. Si potrebbero creare piattaforme con moderatori neutrali , capaci di garantire trasparenza e correttezza. Ridurre il potere degli algoritmi, rendere le fonti più verificabili , favorire il pluralismo dell’informazione. E, soprattutto, educare i cittadini al dibattito , proprio come facevano i Greci con la retorica e la filosofia. Non si tratta di tornare indietro nel tempo, ma di ripensare le tecnologie in chiave etica e democratica . Solo così il digitale potrà diventare uno strumento di partecipazione autentica, e non un’illusione di libertà. Conclusione: la libertà è ascolto, non solo parola Oggi possiamo parlare ovunque, con chiunque, in qualsiasi momento. Ma parlare non significa automaticamente partecipare . La democrazia non è fatta solo di libertà d’espressione, ma anche — e soprattutto — di capacità di ascolto, di confronto e di ragionamento . Se Aristotele, Pericle o Socrate potessero entrare nei nostri social, forse resterebbero affascinati dalla possibilità di raggiungere milioni di persone con un solo messaggio. Ma ci ricorderebbero anche che la democrazia non è un rumore collettivo , bensì un’arte delicata, che si fonda sul rispetto, sull’intelligenza e sulla verità . La domanda, allora, è urgente: siamo ancora capaci di vivere da cittadini? O stiamo diventando solo utenti?
- Platone e la Realtà Virtuale: E Se la Caverna fosse il Metaverso?
Nel celebre mito della caverna, Platone immagina un gruppo di uomini incatenati fin dalla nascita in una grotta sotterranea. Non possono voltarsi, né muoversi. L’unico mondo che conoscono è quello proiettato sulla parete davanti a loro: ombre , riflessi sfuocati di oggetti che passano alle loro spalle, illuminati da un fuoco. Queste ombre, per i prigionieri, sono la realtà. Non sanno che oltre la caverna esiste un mondo vero, fatto di colori, luce, cose concrete. Solo chi riesce a liberarsi e salire in superficie può scoprire la verità e tornare indietro a raccontarla agli altri. È una delle metafore più potenti della filosofia occidentale. E oggi, in un’epoca in cui gran parte della nostra esperienza si svolge attraverso schermi, dispositivi e mondi digitali, non può che risuonare più attuale che mai . Ombre digitali: tra realtà e simulazione Oggi trascorriamo ore immersi nei social network, nei videogiochi, nelle piattaforme di streaming, e — sempre più frequentemente — nelle realtà virtuali . La nascita del Metaverso , concepito come un universo digitale in cui interagire, lavorare, giocare e socializzare, promette di rendere questa immersione ancora più profonda. Ma ci fermiamo mai a riflettere su cosa stiamo realmente vivendo ? Se trasponessimo il mito della caverna al nostro tempo, potremmo immaginare quei prigionieri seduti davanti a visori VR , con cuffie e controller, intenti a esplorare mondi digitali così coinvolgenti da sembrare reali. Come le ombre sulla parete della grotta, queste simulazioni sono rappresentazioni , non realtà. E il rischio è lo stesso: scambiare l’apparenza per il vero , confondere l’immagine con la cosa. Il Metaverso: prigione o opportunità? È facile cadere nella tentazione di demonizzare il digitale, di vedere nel Metaverso un pericolo incombente, una nuova caverna in cui rinchiudersi. Ma sarebbe una lettura parziale. Il problema, come ci suggerirebbe Platone, non sta tanto nello strumento , quanto nell’uso che ne facciamo . Il Metaverso, come ogni tecnologia, può essere sia illusione che rivelazione . Può isolarci, sì, ma può anche ampliare la nostra esperienza , permetterci di esplorare concetti astratti, simulare situazioni educative, facilitare l’apprendimento e la creatività. Può diventare un’estensione del reale, se usato in modo consapevole. Platone non rifiuterebbe in blocco la tecnologia. Ma ci inviterebbe, come sempre, a riflettere . A interrogarci su ciò che percepiamo, a distinguere tra ciò che ci appare e ciò che è . E soprattutto, a non perdere mai di vista il mondo reale , quello che ci forma davvero, fatto di relazioni autentiche, corpi vivi, natura, esperienza diretta. Esperienze virtuali e conoscenza reale Il punto centrale, per Platone, è sempre stato il passaggio dalla doxa (opinione) all’episteme (conoscenza vera) . Nella caverna, i prigionieri non sono ignoranti perché privi di accesso all’informazione, ma perché non hanno la possibilità di mettere in discussione ciò che vedono . Credono alle ombre perché non conoscono altro. Nel mondo digitale contemporaneo, l’informazione è ovunque , ma il rischio di restare intrappolati nelle “ombre” è più alto che mai. Gli algoritmi ci mostrano contenuti selezionati in base ai nostri gusti, creano bolle di realtà su misura, dove tutto ci sembra familiare, rassicurante, immediato. Ma cosa perdiamo, se non ci sforziamo di guardare oltre? La vera conoscenza, secondo Platone, non si raggiunge guardando passivamente, ma muovendosi, interrogandosi, uscendo dalla propria caverna . E questo vale anche per il Metaverso: se lo viviamo come un mondo parallelo che ci basta, siamo prigionieri. Se lo affrontiamo come uno spazio da esplorare con spirito critico , possiamo trarne anche qualcosa di autenticamente formativo. La tecnologia come specchio (non come rifugio) Immaginiamo Platone oggi. Forse non sarebbe tanto colpito dal progresso tecnologico in sé, quanto dall’uso che ne facciamo per fuggire dal reale . Forse ci direbbe che il Metaverso non è altro che un nuovo tipo di specchio : può riflettere i nostri desideri, i nostri sogni, ma anche le nostre paure e i nostri limiti. Può amplificare le nostre illusioni, oppure aiutarci a riconoscerle. Il pericolo non è nella simulazione, ma nella perdita della distinzione tra simulacro e realtà . Se iniziamo a credere che l’identità digitale sia tutto, che i rapporti virtuali possano sostituire quelli fisici, che l’esperienza simulata equivalga all’esperienza vissuta, allora rischiamo davvero di non uscire più dalla caverna. Conclusione: tornare alla luce Nel mito, Platone non si limita a descrivere il prigioniero che fugge: ci racconta anche la difficoltà di guardare la luce . All’inizio è doloroso, accecante. Ma solo dopo aver affrontato quel passaggio si può vedere il mondo com’è davvero. Allo stesso modo, oggi, serve uno sforzo di coscienza . Non si tratta di rifiutare la tecnologia, ma di riportarla al servizio della realtà , non come rifugio, ma come strumento di consapevolezza. Il Metaverso, i social, le realtà virtuali non devono sostituire il mondo, ma invitarci a guardarlo con occhi diversi . A condizione che, ogni tanto, togliamo il visore, alziamo lo sguardo, usciamo fuori. Perché la verità — quella vera — è ancora lì, sotto la luce del sole .
- La RETORICA di ARISTOTELE e i DISCORSI POLITICI di OGGI: Genialità o Manipolazione?
La politica di oggi è fatta di parole. Discorsi in parlamento, comizi in piazza, interventi in televisione, slogan sui social. Eppure, l’arte di parlare per convincere, influenzare e persuadere non è affatto un’invenzione contemporanea . Risale ad almeno due millenni fa, e uno dei suoi più grandi teorici fu Aristotele , il filosofo greco che, tra le tante discipline a cui ha dato fondamento, ha anche codificato la retorica , trasformandola in una vera scienza del linguaggio e della persuasione. Ma oggi, in un’epoca di comunicazione istantanea e iperemotiva, quanto resta di quella visione originaria? E dove si traccia il confine tra persuasione legittima e manipolazione ? L’arte di convincere: una questione di equilibrio Per Aristotele, la retorica non era un trucco per ingannare, ma uno strumento nobile per argomentare in modo efficace , specialmente in ambito politico, giuridico e pubblico. La definì come la capacità di “individuare in ogni caso i mezzi di persuasione disponibili”. E per farlo, identificò tre elementi fondamentali , che ancora oggi sono alla base di ogni discorso efficace: Ethos : è la credibilità del parlante. Chi parla deve apparire affidabile, competente, moralmente integro. Il pubblico deve percepire che può fidarsi. Logos : è la logica dell’argomentazione. Le affermazioni devono essere coerenti, fondate, razionali. Un discorso senza sostanza non può reggere nel tempo. Pathos : è l’elemento emotivo. Per convincere davvero, bisogna saper toccare il cuore delle persone, evocare sentimenti, creare connessioni interiori. Secondo Aristotele, una retorica efficace è quella che bilancia questi tre elementi . Non basta emozionare senza argomentare, così come non serve un ragionamento perfetto se chi parla è percepito come inaffidabile. L’equilibrio è la chiave. La politica oggi: pathos dominante, logos sacrificato Nella comunicazione politica contemporanea, però, questo equilibrio sembra spesso compromesso. Il pathos — l’appello all’emozione — è diventato il protagonista assoluto . I discorsi sono sempre più brevi, incisivi, orientati a generare reazioni immediate: rabbia, paura, entusiasmo, indignazione. Si cercano consensi rapidi, like, condivisioni, applausi. Al contrario, il logos — la logica — viene spesso sacrificato , ridotto a slogan, semplificazioni, frasi ad effetto. E anche l’ethos, cioè la credibilità del politico, tende a costruirsi più sull’immagine che sulla sostanza: uno stile comunicativo ben studiato, una narrazione personale accattivante, una presenza online curata nei minimi dettagli. Il rischio, evidente, è che la retorica non sia più uno strumento per condividere idee e stimolare il pensiero , ma un mezzo per orientare le emozioni senza passare per la riflessione critica . La retorica come manipolazione? A questo punto, è lecito chiedersi: dov’è il limite tra retorica e manipolazione? Quando il discorso politico smette di essere persuasione e diventa inganno? La risposta, ancora una volta, ce la offre Aristotele. Per lui, la retorica non è neutra: può essere usata bene o male , a seconda dell’intenzione di chi parla. Se è orientata alla verità e al bene comune, è uno strumento fondamentale della democrazia. Ma se è usata per nascondere la verità, deformare i fatti o sfruttare le paure della gente, allora diventa sofistica , ovvero un’arte distorta della parola. Il punto critico è proprio questo: quando ethos e logos vengono sacrificati in nome del pathos , la retorica perde la sua dignità. Non si tratta più di convincere con buone ragioni, ma di manipolare emozioni per ottenere consenso. Siamo pronti a distinguere? In un mondo dove la comunicazione corre veloce, è fondamentale essere consapevoli dei meccanismi della retorica . Non per diffidare di ogni discorso, ma per ascoltare con attenzione, valutare con criterio, riconoscere quando un’emozione è strumentale e quando è autentica . La responsabilità non è solo dei politici o dei comunicatori, ma anche di chi ascolta. Se vogliamo una democrazia sana, dobbiamo educarci alla retorica , così come ci educhiamo alla lettura o alla matematica. Dobbiamo imparare a chiedere: questo discorso mi emoziona, ma ha anche fondamento? Mi sta convincendo perché è giusto o solo perché mi rassicura? Se Aristotele fosse tra noi… Forse, se Aristotele vivesse oggi, rimarrebbe stupito dall’efficacia dei mezzi di comunicazione di massa, dalla velocità con cui un’idea può diffondersi, dall’enorme potere che una frase ben congegnata può esercitare su milioni di persone in pochi minuti. Ma forse ci metterebbe anche in guardia. Ci ricorderebbe che la vera retorica è responsabilità , non solo tecnica. Che chi parla ha il dovere di rispettare chi ascolta. E che la parola è uno strumento potente , capace di costruire, ma anche di distruggere. Se usata senza equilibrio, può alimentare odio, divisioni, falsità. Conclusione: la parola è ancora un atto etico Oggi più che mai, la parola pubblica — e in particolare la parola politica — deve essere un atto etico . La buona retorica non è quella che ottiene il consenso più veloce, ma quella che favorisce la comprensione, stimola il dibattito, costruisce fiducia . Riscoprire Aristotele non significa tornare al passato, ma recuperare l’idea che il linguaggio ha un valore . Che parlare bene significa anche pensare bene. E che solo quando logos, ethos e pathos lavorano insieme possiamo parlare davvero di comunicazione efficace — e giusta. La prossima volta che ascolterai un discorso politico, chiediti: sto solo provando qualcosa… o sto anche capendo qualcosa ?
- Platone e l’Intelligenza Artificiale: Ombre nella Caverna Digitale?
Cosa direbbe Platone , uno dei più grandi filosofi dell’antichità, se potesse osservare il nostro mondo iperconnesso, popolato da algoritmi, chatbot e intelligenze artificiali capaci di scrivere, tradurre, comporre musica o generare immagini in pochi secondi? Forse resterebbe affascinato dalla potenza degli strumenti moderni. Ma più probabilmente, ci metterebbe in guardia, proprio come fece con la scrittura.
- Il Marketing nell'Antica Grecia: come i greci sapevano vendere meglio di noi
Quando pensiamo al marketing, immaginiamo subito pubblicità scintillanti, strategie digitali e influencer che sponsorizzano prodotti sui social. Ma se ti dicessi che le basi del marketing moderno affondano le radici nell’Antica Grecia? Sì, esatto! Quei filosofi barbuti e quei commercianti dell’agorà avevano già capito l’arte della persuasione e del personal branding molto prima che nascesse il primo spot televisivo.
- Il Fitness nell'Antica Grecia: passione o ossessione?
Oggi siamo circondati da immagini di benessere fisico: palestre sempre più attrezzate, corse cittadine, yoga, app che conteggiano i passi, influencer che mostrano addominali scolpiti e dispensano consigli per ottenere il corpo ideale. Eppure, ciò che spesso consideriamo una moda contemporanea ha in realtà radici antichissime . Nell’antica Grecia, la cura del corpo era già un elemento centrale della vita quotidiana, una vera e propria ossessione culturale . I Greci erano pionieri del fitness, e molte delle pratiche che adottiamo oggi derivano proprio da loro. Ma perché questa attenzione al corpo era così forte? E quanto del loro approccio è ancora presente nelle nostre vite moderne? La gymnasium : dove si allenavano corpo e mente Il termine “gymnasium” deriva dal greco “gymnós”, che significa “nudo”. Questo perché gli antichi Greci si allenavano senza vestiti, non per esibizionismo, ma per una precisa idea estetica e filosofica: il corpo umano era considerato sacro , un tempio da valorizzare. Allenarsi nudi era simbolo di purezza, disciplina e dedizione alla bellezza fisica e morale. La palestra greca, tuttavia, non era solo un luogo per esercizi corporei. Era anche uno spazio di formazione mentale , dove si studiava filosofia, si discuteva di etica e si sviluppava il pensiero critico. Il benessere, per i Greci, era un equilibrio tra mente e corpo , un concetto che ritroviamo oggi nei centri fitness moderni che integrano attività fisica con programmi di mindfulness, alimentazione consapevole e crescita personale. Nonostante i cambiamenti tecnologici e sociali, l’essenza della palestra non è cambiata : un luogo dove ci si prende cura di sé, ci si migliora, ci si confronta con gli altri e si cerca il proprio limite. Allenarsi come un Greco: movimenti funzionali e naturali Gli antichi Greci non avevano tapis roulant o macchinari elettronici. Eppure, i loro esercizi erano estremamente efficaci, perché si basavano su movimenti naturali , che oggi definiremmo “funzionali”. Corsa, salti, lanci, lotta: tutto serviva a sviluppare forza, agilità, resistenza e coordinazione . Praticavano la corsa, sia su brevi che lunghe distanze, sviluppando velocità e resistenza. Lottavano in modo simile alla lotta greco-romana moderna, e utilizzavano oggetti comuni – come pietre o sacchi – per esercizi di sollevamento. Il salto in lungo veniva praticato con pesi in mano per aumentare la spinta, in un’anticipazione degli esercizi esplosivi attuali. E poi c’erano il lancio del disco e del giavellotto, attività che richiedevano forza e precisione , qualità ancora oggi fondamentali per l’allenamento atletico. In sostanza, avevano già compreso che il miglior modo per tenersi in forma era allenarsi imitando i movimenti reali della vita e delle sfide fisiche quotidiane. Una filosofia che troviamo oggi nel crossfit, nella ginnastica calistenica e nei programmi funzionali. Olimpiadi: la celebrazione dell’atleta La massima espressione del culto greco per il corpo era rappresentata dalle Olimpiadi , istituite nel 776 a.C. ad Olimpia. Gli atleti erano celebrati come eroi e i vincitori ricevevano non solo una corona d’alloro, ma anche onorificenze pubbliche, premi in denaro e persino esenzioni dalle tasse . In alcune città, potevano ottenere terre o pensioni a vita. Questo spirito competitivo, che esaltava il talento e la dedizione, non è molto diverso da quello odierno. Gli atleti olimpici contemporanei sono altrettanto venerati, seguiti da milioni di persone, e spesso diventano veri e propri modelli culturali. Un simbolo potente di questa eredità è la maratona , ispirata alla leggendaria corsa del soldato ateniese Filippide, che percorse circa 42 chilometri per annunciare la vittoria nella battaglia di Maratona. Ancora oggi, milioni di persone in tutto il mondo partecipano a maratone per sfidare sé stessi , superare i propri limiti e onorare un’antica tradizione. Il corpo come ideale estetico Per i Greci, il corpo era anche un’opera d’arte. Non bastava che fosse forte: doveva essere anche bello, proporzionato, armonioso . Gli uomini ideali erano atletici, muscolosi ma non eccessivamente. Le statue di Ercole e Apollo rappresentano questo ideale perfetto, esaltando la simmetria e l’equilibrio. Anche le donne avevano un canone preciso: corpi tonici, proporzionati, simbolo di grazia e vitalità, senza muscolature troppo accentuate. Questi modelli estetici sono sopravvissuti nei secoli e si ritrovano oggi nei criteri del fitness moderno, dove termini come “fisico classico” richiamano direttamente la bellezza greca . Non sorprende quindi che molti programmi di bodybuilding, ancora oggi, si ispirino a quell’ideale. L’obiettivo non è solo essere forti, ma apparire armoniosi, scolpiti, vicini a un ideale senza tempo . Come allenarsi oggi “alla greca” Chi desidera avvicinarsi allo stile greco di allenamento può farlo anche senza palestra. Corsa a piedi, brevi sprint per la velocità o lunghe distanze per la resistenza; esercizi a corpo libero come trazioni e piegamenti per rafforzare i muscoli; salti o squat esplosivi per la potenza delle gambe; e persino il sollevamento di oggetti pesanti come sacchi di sabbia o kettlebell. Tutto ciò riprende esattamente i metodi greci. Non va dimenticata l’alimentazione: anche in questo, i Greci avevano una visione equilibrata. Consumavano cibi freschi, naturali, poco lavorati, e consideravano la moderazione una virtù. Il benessere, per loro, era uno stile di vita che comprendeva movimento, buona tavola, riposo e pensiero critico. Conclusione: I padri del fitness moderno? Sì, gli antichi Greci possono essere considerati i veri fondatori del concetto di fitness . Hanno concepito l’allenamento non solo come attività fisica, ma come percorso educativo e filosofico , in cui corpo e mente crescono insieme. Allenarsi, per loro, era un modo per avvicinarsi alla perfezione umana, superare i propri limiti e trovare l’equilibrio. Quando oggi entriamo in palestra, ci iscriviamo a una maratona o seguiamo un personal trainer, stiamo camminando sulle orme di una tradizione millenaria . E in questo senso, il fitness non è solo una tendenza contemporanea, ma un’eredità antica che continua a vivere , nel sudore, nello sforzo e nella gioia di ogni corpo che si muove per diventare migliore.
- L'Etica di Aristotele applicata al Lavoro: come essere felici e produttivi?
Svegliarsi la mattina, prepararsi e affrontare una nuova giornata lavorativa è un rituale quotidiano per milioni di persone. Ma quanti possono dire, con sincerità, di essere felici nel farlo? Nell’epoca del work-life balance, della produttività sostenibile e della “great resignation”, si discute molto di benessere lavorativo e di equilibrio tra vita e carriera. Eppure, queste riflessioni non sono affatto moderne. Più di duemila anni fa, Aristotele aveva già individuato il cuore di questa ricerca con un concetto chiave: eudaimonia .
- Interstellar: il Kairos nell'Antica Grecia
L'11 novembre 2024 il film diretto da Christopher Nolan, Interstellar, vedrà i festeggiamenti del suo decimo anniversario. Nel film l'elemento dominante è senza dubbio il tempo e possiamo individuare diverse concezioni di quest'ultimo. Ma chi furono i primi ad attribuire più sfumature di significato a quell'elemento che oggi noi riassumiamo banalmente con un vocabolo?
- Il Toro di Falaride: tra Mito e Horror
PREMESSA Sotto il periodo di Halloween sono milioni le persone che decidono di vedere i propri film horror preferiti e, tra tutti, oggi la saga di Saw l’Enigmista è tra le più iconiche dei prodotti del genere cinematografico contemporaneo. La trama di questa serie di film ruota intorno all'astuto ed efferato John Kramer, alias Jigsaw, sofferente di un cancro al cervello in fase terminale, e ai suoi apprendisti. Le vittime vengono catturate e poste in trappole mortali, dalle quali è possibile uscire solitamente dopo mutilazioni e grandi sofferenze. Non tutti sanno, però, che sul fondo del tema splatter gialle un’inquieta verità. Il Toro di Falaride, noto anche come il Toro di Bronzo di Falaride o il Toro di Sicilia, è una delle invenzioni più orribili e famigerate della storia antica. Questo macabro strumento di tortura è legato al tiranno greco Falaride, che governò la città di Agrigento in Sicilia nel VI secolo a.C. La storia del Toro di Falaride è un racconto di crudeltà umana e di come il potere può essere distorto per scopi malvagi. ORIGINI e COSTRUZIONE Secondo la leggenda, fu progettato e costruito da Perillo di Atene, un artigiano che rispose alla richiesta del tiranno di creare un dispositivo di tortura insuperabile. Il toro era una statua di bronzo a grandezza naturale di un toro reale, con una porta sulla parte anteriore attraverso la quale la vittima veniva inserita. Una volta all’interno, il toro veniva riscaldato fino a diventare incandescente, bruciando lentamente la vittima viva all’interno. USO e SIGNIFICATO Il Toro di Falaride non era solo un mezzo di tortura fisica, ma anche un simbolo del potere tirannico e dell’ingiustizia. Falaride lo utilizzava per punire coloro che osavano sfidare il suo dominio o per intimidire i suoi sudditi, creando un clima di terrore e obbedienza. Il suo uso spietato alimentava la leggenda del tiranno sanguinario, consolidando il suo controllo sulla città e sulla regione circostante. LEGGENDE e MITI La storia del Toro di Falaride è diventata parte integrante del folklore greco antico, con numerose leggende e racconti che circondano la sua origine e il suo destino. Una delle leggende più note racconta di come Falaride alla fine fu condannato a subire la stessa sorte del suo toro, essendo stato fatto bruciare vivo al suo interno per ordine del re di Siracusa, Gelone. Questo atto finale di giustizia poeticamente tragica ha contribuito a cementare la reputazione di Falaride come uno dei tiranni più spietati della storia. EREDITÀ CULTURALE Il Toro di Falaride ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura e nella coscienza collettiva, simboleggiando la crudeltà e la tirannia nel corso dei secoli. La sua storia è stata raccontata e reinterpretata in opere d’arte, letteratura e teatro, servendo come monito contro l’abuso di potere e la violenza in tutte le sue forme. In conclusione, il Toro di Falaride rimane un’illustrazione vivida della capacità dell’umanità di infliggere sofferenza e terrore ai propri simili. La sua storia ci ricorda l’importanza di resistere alla tirannia e difendere i valori dell’umanità, per evitare che simili orrori si ripetano nella storia futura.
- Report TAGE24
Venerdì 4 ottobre, in occasione dell’uscita del finale della seconda stagione della serie Gli Anelli Del Potere, si è svolto l'evento TAGE (Tolkien Ancient Greek Event) presso il Liceo Maior di Pescara, coordinato da Neosellen e patrocinato dall’Associazione Culturale Sentieri Tolkieniani , articolato in un convegno di Pierluigi Cuccitto, ed incentrato sulle affinità tra gli scritti di JRR Tolkien e l’antica grecia. Il Panel Durante il suo intervento, il relatore Pierluigi Cuccitto ha toccato parte dei tempi già trattati in una rubrica dedicata sul nostro blog, arricchendo però il tutto anche con collegamenti e approfondimenti inediti.
- KAOS: tutti gli Easter Egg
Kaos è una serie unica nella sua narrazione, che ci si può godere appieno, anche nel suo frangente comico, se si ha qualche nozione su dei, semidei e miti della culla della cultura mediterranea. Introduzione I miti greci sono ancora oggi uno dei pilastri della nostra cultura (chi seg ue la nostra rubrica a cura di Ludovica Zamponi lo sa bene). Kaos li conosce bene e ci gioca parecchio, proponendone una versione contemporanea che si rivela avvincente sin dalle prime battute. Gli intenti artistici di questa serie – deliziosamente tragicomica – mirano più a un intrattenimento leggero che al dramma, ma non mancano i momenti duri, pesanti o tristi. Si sa che i personaggi mitologici dell’antichità classica avevano tutti i pregi e i difetti degli uomini. E nel caso degli dei, la cosa saliva a livelli parossistici. I poemi epici, soprattutto quelli attribuiti a Omero, ci mostrano infatti delle divinità invidiose, rabbiose e prese dalle passioni. Anche in occasione della Guerra di Troia (alla quale la serie fa tantissimi riferimenti), gli dell’Olimpo si sono comportati come dei tifosi, se non degli ultrà, di una piuttosto che di un'altra squadra di calcio. Nella serie, quindi, possiamo vedere Poseidone minacciare un Minosse, qui moderno Presidente invece di antico Re, in un modo quasi malavitoso. Tutto ciò, perché ha fatto di testa propria nel prendere una decisione importante. Quando poi lo stesso Minosse si impone sulla figlia Ari (diminutivo della storica Arianna), ecco arrivare il concetto “questa è la volontà degli dei”, che a noi moderni sembra ridicolo, ma invece tappa la bocca alla principessa, per quanto lei si dimostri sempre risoluta. Il motivo? Nel mondo della serie le profezie vengono accettate senza fiatare e sono talmente pervasive da essere un argomento di conversazione. Al destino, comunque, non sfuggono neppure le divinità. Anzi, molto spesso, com’è tipico della mitologia greca, i provvedimenti che si prendono per scongiurare una profezia finiscono per farla avverare. Così, per apprezzare fino in fondo questo show, è meglio avere un'idea di ciò che sono i personaggi in origine e come sono stati resi per l'occasione e tenere d'occhio ogni dettaglio. Gli easter egg più "mitologici" presenti nella serie Alcuni di questi rimandi risultano più evidenti, mentre altri compaiono solo per una frazione di secondo. Non sono necessari a comprendere lo show televisivo, ma aggiungono senz’altro sapore e dettagli interessanti all’universo narrativo di Kaos . Si comincia da quando Euridice (che qui tutti chiamano Riddy) va a fare la spesa per il suo Orfeo. Al supermarket sono in vendita dei cereali a forma di piede che si chiamano “Tallone d’ Achille ”, unico punto debole dell’eroe. Ci sono anche dei cereali dedicati a Gea/Gaia, la dea della terra e dei croccanti al miele, detti “Spartan Crunch”, fatti con il miele dell’Olimpo. Qui va aperta una parentesi: nel mito greco canonico, le api sono esclusivamente un’invenzione di Zeus. Nella serie, invece, Era le crea trasformando immancabilmente le donne con cui il marito la tradisce in questi laboriosi insetti e poi le controlla a piacimento, tanto che spesso la si vede in veste di apicultrice. Costringe poi Zeus a uccidere gli eventuali figli nati dalle sue scappatelle, dopo averli fatti nascere all’istante con la magia. Non male per quella che il mito vede come la protettrice delle donne, del matrimonio e della famiglia. Tornando a Orfeo, che il mito ci consegna come impareggiabile poeta e musicista, nella serie è un celebre cantautore pop-rock e si è fatto tatuare una lira - suo strumento d’elezione - sulla parte interna dell’avambraccio. Inoltre la sua manager si chiama Calli, diminutivo di Calliope , la Musa della poesia epica che nella mitologia è stata anche sua maestra. Inoltre, quando la sua amata Euridice viene uccisa, costei ha al dito un anello in forma di serpente e viene centrata in pieno da un camion con su scritto “Serpent Solutions”. In effetti, nel mito che la riguarda, la sfortunata fanciulla calpesta un serpente che poi la morde, uccidendola proprio mentre scappa da Orfeo, che le leggende dipingono come eccessivo nelle sue attenzioni. È interessante anche notare come la discoteca dove il dio Dionisio ama fare baldoria si chiami Panopeus, un nome che rimanda a Panopeo, una città famosa per le danze e per il culto del dio del vino e dell’ebbrezza, Dioniso appunto. Un'altra citazione interessante: gli orologi del negozio in cui questa divinità si avventura hanno un brand che ricorda la grafia greca di “Core”, nome che si può applicare sia alla dea delle stagioni, Demetra , che a Persefone . La vita di entrambe è scandita dal tempo, quindi si tratta di una scelta molto appropriata quando si parla di orologi. Molti easter egg della serie funzionano ancora meglio quando sono collegati fra di loro: il locale che si chiama “The Cave”, ossia “La caverna”, in un rimando a quella che Orfeo attraversò nel suo viaggio verso l’oltretomba, è gestito da un tal Poly, un personaggio che porta una benda sull’occhio, citazione perfetta del ciclope Polifemo . Tutto il viaggio di Orfeo, per quanto moderno, richiama il percorso dei defunti tipico della mitologia greca, ivi compresa la perdita dei colori. La serie ha infatti scelto di girare in bianco e nero le scene ambientate nell’oltretomba. Del pari, Cassandra (senza essere creduta, in perfetta coerenza con il mito che la riguarda) cita “uomini nel cavallo” e “la ragazzina” da sacrificare agli dei per avere i venti più propizi possibile, facendo due velocissimi rimandi, rispettivamente al cavallo di Troia e al sacrificio di Ifigenia , in un perfetto equilibrio tra ironia e brutalità. La serie ripropone anche le Erinni , dispensatrici di una giustizia brutale e inarrestabile, come bikers super toste, una delle quali ha una toppa con su scritto “Avenge”, a simboleggiare la vendetta sui torti subiti. In uno dei loro momenti migliori, attraverso una tv via cavo (novello “filo di Arianna ”), permettono alla principessa di far luce sul suo passato, aprendo al miglior cliffhanger dello show. Altri collegamenti “incrociati” tra la serie e le leggende greche vengono offerti da due personaggi che si affrontano in un’ arena . Uno, lo spartano Carl Crixus, e l’altra, l’ Amazzone Ippolita, si scontrano fino a uccidersi a vicenda. Crixus abbatte Ippolita solo attaccandola alle spalle, in piena coerenza con la tradizione secondo cui le Amazzoni erano così brave a combattere che potevano essere sconfitte solo in modo sleale. I rimandi e gli easter egg di natura più spiccatamente storico-politica L’amore della serie per le grafie classiche già visto nel caso del brand di orologi, si rivela anche in “Krete”, il modo greco di indicare l’ isola . In effetti, molti degli elementi stilistici e narrativi visti all’interno di Kaos farebbero pensare a una Terra alternativa, nella quale i minoici hanno portato la loro cultura, divinità comprese, a essere importantissima. Di certo (e lo si vede in più episodi della serie) la bandiera dell’isola è quella dello Stato Cretese , mentre il già citato Presidente Minosse, ha modo di sfoggiare anche una cravatta con sopra dei motivi simili a quelli che si possono vedere sul Disco di Festo . Inoltre, vengono menzionate sia Atene che Sparta; la città in Attica ha un sistema politico diverso da quello dell’isola. Se ne può quindi dedurre che la soluzione delle polis , ovvero delle città-Stato, è sopravvissuta fino all’età contemporanea e che anche la civiltà micenea ha il suo spazio. In ogni caso, il modello culturalmente e artisticamente dominante è quello greco praticamente in tutto il mondo visto finora nella serie. Lo dimostra anche lo status socio-economico dei troiani, ghettizzati e marchiati dopo la loro sconfitta sui campi di battaglia . Probabilmente, Ilio e le sue terre sono anche una sorta di metafora del Medio Oriente, in quanto le pompe di benzina hanno come logo Tyndareus, ossia il nome di re Tindaro , padre della principessa troiana Elena, la donna più bella del mondo antico e casus belli del conflitto. Va detto: non tutto è perduto per i troiani, lo dimostra anche l’alleanza tra Ari (Arianna) di Krete e Andromaca (la principessa troiana più in vista) che chiude la serie. In che modo sono rappresentate le più importanti divinità dell'Olimpo in Kaos? Partiamo da uno dei più interessanti, Prometeo . Merita pienamente il suo nome, che significa “colui che riflette prima di agire”, per come tiene le fila di tutto e, se non il fuoco, cerca di portare all'umanità la vita decente che offre la libertà. Poseidone è il tirapiedi del fratello Zeus, più un faccendiere mafioso che il dio del mare. Abbronzatissimo e pieno di brillocchi, anche quando si tratta di scegliere gli abiti, vive su uno yacht (in cui succede di tutto). Era è potente e terribile. Si sente regina quanto il fratello e consorte, Zeus , qui elevato al cubo in tracce di umanità. Lo vediamo prepotente e infantile, viziato, ossessionato, lui immortale, dal controllo e da una profezia, che lo minaccia. Curioso, visto come considera la mortalità umana. Detto questo, si può aggiungere che se si arrabbia sono zot di dolore atroce (anche tra parenti), ma a livello intellettivo è piuttosto tonto. Così tonto, da usare come consigliere Prometeo, che ha condannato a essere mangiato per l'eternità da un'aquila in cima a una rupe e che senza dubbio è l'entità che lo odia più di tutti. Dioniso , che qui si presenta come il classico moccioso troppo ricco dentro una famiglia potente e disfunzionale con padre distante e una matrigna avversa, ha solo due desideri: fare qualcosa che riesca a solleticare l'interesse del padre, Zeus, e incontrare l'amore, che osserva negli umani. Nel suo inseguire feste, gratificazione immediata e il piacere è lo specchio del suo corrispettivo antico, ma poi rivela una spinta alla rivoluzione quasi imprevista. Il gruppo di personaggi classici più interessanti, però, resta quello che comprende Orfeo ed Euridice , il Minotauro e di Dedalo , e Persefone e Ade : le loro storie originali fanno solo da canovaccio alle vicende dello show, che poi si sviluppano in altre direzioni. Euridice sceglierà infatti un futuro diverso da quello descritto nel mito, con buona pace del suo Orfeo e del viaggio compiuto nell’Ade per riprendersela, contro tutto e tutti, col solo aiuto di Dioniso e Caronte. Quest’ultimo decide di supportare l'artista solo perché glielo ha chiesto Prometeo. Va detto che nella serie, il traghettatore delle anime e il Titano che “riflette prima di agire” hanno una relazione. Per quanto riguarda invece Dedalo, Icaro e il Minotauro, quello che nella mitologia è un ibrido tra uomo e toro resta invece completamente umano nella serie e quella del toro è solo un’armatura. Del sacrificio rituale al Minotauro non c’è traccia in Kaos , se non nella misura in cui viene usato come boia dal presidente di Creta. Icaro prova a volar via solo dopo aver capito il ruolo del padre nel confinare qualcuno, ormai diviso tra uomo e “animale”. Se da un lato, poi, è sempre Dedalo (sia nel mito che nella serie) ad aver costruito il labirinto di cui il suo nome diventa sinonimo, in Kaos il Minotauro viene ucciso in un modo abbastanza diverso. Epilogo Di sicuro ci è sfuggito qualche rimando, ma non vediamo l'ora di goderci le trovate della seconda stagione, che sarà di certo all'altezza della prima!
- KAOS: la "nuova" Antica Grecia su Netflix
La Premessa Kaos è una serie televisiva britannica del 2024 prodotta da Netflix e ideata da Charlie Covell. Si tratta di una serie di genere drammatico, commedia nera e mitologico, ispirata alla mitologia greca. Jeff Goldblum interpreta il protagonista, Zeus, e Stephen Dillane il narratore, Prometeo. La Trama In un presente alternativo, nel quale nella Grecia attuale continua a esistere la venerazione degli dei classici e ad avvenire eventi quali celebrazioni pubbliche, sacrifici e feste in onore degli dei, Zeus vive con Era sul Monte Olimpo, come un uomo contemporaneo, con tutti gli agi e i vizi del caso. La storia è narrata da Prometeo, come da mitologia incatenato ad una rupe mentre un'aquila gli mangia il fegato ripetutamente, che nonostante tutto viene convocato quotidianamente da Zeus per fargli da confidente e amico, e si sofferma su un gruppo di umani mortali destinati a rovesciare il regno despotico di Zeus, violento, egoista e vendicativo. La Retrospettiva I miti dell'antica Grecia, le leggende e i nomi altisonanti della religione politeista greca ancora oggi, in un certo qual modo, mantengono un particolare fascino fra gli studiosi e gli appassionati. E se una visione del genere fosse del tutto vera e proiettata nella nostra attualità, così da generare un mondo alternativo in cui l'umanità è costantemente sottomessa e governata da entità divine al di sopra di tutto e così profondamente ramificate da gestire ogni singolo aspetto del quotidiano vivere di ognuno? Questa è l'idea alla base di Kaos, nuova serie Netflix disponibile in catalogo dal 29 agosto 2024. Sfruttando il fascino di un cast magnetico, il racconto seriale ideato da Charlie Covell si muove sinuoso seguendone i volti, le espressioni e una particolare cura narrativa che oscilla continuamente fra il sacro, il profano, il leggero e soprattutto l'umano.Non a caso, è proprio il volto iconico di Jeff Goldblum a catturare nell'immediato, sfruttando un'arroganza quasi naturale e celebre fra i suoi fan per portare sul piccolo schermo uno Zeus che sa come attirare fin dalla campagna di marketing. In parallelo, troviamo subito la fotografia e i colori di un lavoro che è sia familiare per alcune cose, sia inaspettato e intrigante. Quale occasione migliore per riflettere sul rapporto fra umanità e religione? Fra esseri umani e tutti quei simbolismi che da sempre ci trasciniamo dietro e con cui tendiamo a entrare in contatto/contrasto in un gioco di ruoli coerente con le ere che ci hanno condotto al nostro presente? Infatti fede e debolezze sono due costanti di Kaos. Un mondo simile e allo stesso tempo differente Kaos è ambientata nella città di Creta, trasponendone l'essenza in chiave moderna e attuale. In un contesto del genere, le persone continuano a venerare gli antichi Dei greci, che non hanno mai smesso di gestire le sorti dell'umanità e del mondo intero, governandone le modalità e le caratteristiche dall'alto della loro immortalità. In questa metropoli specifica, però, alcuni fedeli e infedeli stanno per scoprire qualcosa che potrebbe per sempre cambiare il corso degli eventi e delle leggi con cui sono cresciuti, e mentre Zeus (Goldblum) viene offeso durante la festa di Olympia, cominciano a svilupparsi alcuni eventi e trame connesse proprio con la sua storia e con quella delle altre divinità al suo fianco. Da un affronto diretto al Padre degli Dei si generano una serie di storie che si muovono in parallelo, connettendosi al concetto di Fato e di profezie, di amore e di forza di volontà, in un mondo in cui il libero arbitrio pare essere un dettaglio insignificante e un mezzo per controllare le persone. Partendo dal timore tutto personale di un'antica profezia, Kaos racconta dell'ipocrisia di alcune divinità e del tentativo di trovare una luce che sia vera in un mondo artificialmente gestito da Dèi infantili. Attualizzare pur mantenendone l'appeal Uno dei tratti più interessanti di Kaos risiede nella sua capacità di plasmare i miti che tutti conoscono, o che comunque si sono trovati a studiare in ambito scolastico, attualizzandone le caratteristiche in maniera credibile e affascinante. Nella coerenza di un lavoro come questo si sviluppano i punti fermi di un mondo con regole tutte sue, storie e nomi altisonanti, trasformati ma sempre e comunque riconoscibili. Offrendo agli spettatori un contesto del genere, caratterizzato da elementi familiari e del tutto inediti, si muove un racconto che non ha bisogno di troppi dettagli per esplicarsi e coinvolgere fin da subito, rielaborando il conosciuto in chiave moderna. Da qui la coralità di Kaos e la scelta di sviluppare gli eventi principali su più fronti, affidando ogni cosa all'ambientazione e alla caratterizzazione dei protagonisti. Questi ultimi sono fondamentali e immediati, complice la loro scrittura e le interpretazioni di un cast che funziona dalla prima all'ultima puntata. Andando oltre il contesto narrativo, infatti, è proprio nello scolpire i volti di una storia fra il leggero e l'ispirato che ci si lascia pienamente coinvolgere in ciò che accade, in simbiosi con un particolare appeal che rinfresca invece di cancellare (ricordando da vicino il modus operandi visto nei libri di Percy Jackson; impossibile non pensare a loro per alcune cose di Kaos. Per approfondimenti vi rimandiamo alla nostra recensione di Percy Jackson, arrivato su Disney+ di recente sotto forma di serie tv).La scelta di affidare la storia ai personaggi principali risulta vincente non appena si entra nel mondo di Kaos, mettendo in mostra una particolare cura fusa al gusto indiscutibile per l'estetica formale di un lavoro che si nutre delle immagini e dei colori diversi di volta in volta e di volto in volto. Nell'inquadrare l'indole cromatica della serie Netflix, ci si ritrova coinvolti in un vero e proprio viaggio alla scoperta di qualcosa che va oltre le stesse vicende rappresentate. La curiosità nel comprendere come avranno realizzato quella o quell'altra cosa... oppure chi sarà chi... la dice lunga sul fascino di un racconto piuttosto calibrato anche in termini di ritmo e di equilibrio tra inventiva scritta e figurativa. Nel connubio fra cura estetica e narrativa esplode senza mezze misure l'imperfezione tipicamente umana, pervadendo ogni singolo sviluppo di Kaos. Andando oltre i ruoli che ognuno dei personaggi ricopre, divini e non, il confronto fra dèi e uomini cede presto il passo ad alcune domande più profonde e universali, capaci di andare facilmente oltre lo stesso piccolo schermo: esiste il fato? C'è modo di prendere in mano il proprio destino? In un mondo governato direttamente dalle divinità, qual è il confine tra fede e controllo tirannico? Cosa accade all'uomo senza religione e, una vita del genere è accettabile?
- I Musei Reali di Torino: il Museo di Antichità ospita oltre 400 ceramiche elleniche
Il Museo di Antichità di Torino, parte integrante dei Musei Reali, rappresenta una delle istituzioni museali più antiche d’Europa, con una storia che affonda le radici nel 1724. In occasione del suo tricentenario, il museo ha inaugurato la mostra “La Scandalosa e la Magnifica”, un’esposizione che celebra tre secoli di ricerche archeologiche in Piemonte, focalizzandosi sulla città romana di Industria e sul culto di Iside . Un Viaggio nel Collezionismo Sabaudo La Galleria Archeologica, recentemente rinnovata, offre un percorso espositivo che si snoda attraverso cinque sezioni e dieci sale, presentando oltre mille manufatti raccolti in quattrocento anni di collezionismo della Casa Savoia. Tra le opere esposte spiccano statue greche e romane, ceramiche attiche e italiote, reperti etruschi e fenici, nonché una vasta collezione di antichità cipriote . L’Antica Grecia a Torino La sezione dedicata alla civiltà greca ed etrusca presenta circa 400 ceramiche elleniche e italiote, acquistate tra il 1827 e il 1828 da Carlo Felice. Questi reperti offrono uno sguardo approfondito sulla vita quotidiana, le pratiche religiose e le tradizioni artistiche dell’antica Grecia. Tra le opere più significative si annoverano lo psykter di Euthymides, il ritratto di Cesare da Tuscolo e la copia romana dell’amazzone di Fidia in basalto verde . La Scandalosa e la Magnifica La mostra “La Scandalosa e la Magnifica” esplora la storia della città romana di Industria, situata lungo il Po, e il culto di Iside, divinità egizia venerata anche in Piemonte. L’esposizione presenta una settantina di pezzi tra bronzi, marmi e iscrizioni, alcuni dei quali mai esposti prima, offrendo un’opportunità unica per comprendere l’influenza delle religioni orientali nell’Italia settentrionale . Un Percorso Archeologico Inedito In concomitanza con la mostra, è stato inaugurato un nuovo percorso archeologico che include la Basilica paleocristiana del Salvatore, una delle tre più antiche chiese di Torino. Questo itinerario consente ai visitatori di esplorare le vestigia dell’antica Augusta Taurinorum, offrendo una visione completa della trasformazione della città dall’epoca romana al periodo cristiano . Informazioni Pratiche Luogo : Museo di Antichità, Musei Reali di Torino Indirizzo : Piazzetta Reale 1, 10122 Torino Orari : Dal martedì alla domenica, dalle 9:00 alle 19:00 (ultimo ingresso alle 18:00) Biglietti : Intero €15, Ridotto €2; il biglietto comprende l’accesso a Palazzo Reale, Armeria Reale e Galleria Sabauda . Per ulteriori informazioni e per pianificare la visita, è possibile consultare il sito ufficiale dei Musei Reali di Torino: https://museireali.beniculturali.it/museo-antichita/ . La mostra “La Scandalosa e la Magnifica” e la rinnovata Galleria Archeologica offrono un’opportunità imperdibile per esplorare le connessioni tra il Piemonte e l’antica Grecia, attraverso un percorso che unisce arte, storia e archeologia.

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