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101 risultati trovati con una ricerca vuota

  • Galadriel, l’Amazzone di Tolkien: Mito, Forza e Modernità

    Le Amazzoni nella mitologia classica e l’eredità tolkieniana Per proseguire nella nostra disamina dei rapporti tra l’opera di Tolkien e il mondo Classico, non si possono saltare quelle figure leggendarie, esclusivamente femminili, che sono le Amazzoni, le guerriere del mito Greco. Fiere, indipendenti, combattive, senza nessun senso di inferiorità verso gli Uomini. Tolkien riprende questo tema, ma, come sempre, lo concretizza nel suo caratteristico modo, rielaborando e mettendoci come sempre del suo. Galadriel, tra dolcezza elfica e fierezza guerriera C’è una donna delle sue vicende per cui egli usa il termine preciso di Amazzone, in una fase della sua vita. Galadriel, nel Signore degli Anelli , viene vista da Frodo come “una dolce dama elfica dalla voce morbida e triste”. Ma questo è solo il punto di vista di Frodo che coglie Galadriel in una precisa fase della sua vita. La Galadriel delle Ere Antiche: forza, orgoglio e comando Nelle due Ere precedenti alla Terza, Galadriel era stata molto diversa ed era caratterizzata da essere fiera, indipendente, con un orgoglio che sfiorava l’arroganza; ma soprattutto viene definita come combattente e persino “comandante militare”. D’altronde, come leggiamo nella History of Middle-earth , il combattere, tra gli Elfi, era un’attività che anche le donne compivano. Non c’erano attività maschili o femminili, tra di loro. Alcune donne potevano avere caratteristiche “amazzoniche”, e Galadriel viene caratterizzata esplicitamente da Tolkien in questo senso. Nerwen: forza fisica e mentale in una donna Noldo Infatti, non solo era robusta e forte come gli elfi maschi, come leggiamo nei Racconti Incompiuti , dove si dice: “Il suo nome materno era Nerwen (ragazza-uomo), ed essa crescendo raggiunse una statura insolita persino per le donne dei Noldor; era forte di corpo, di mente e di volontà, capace di tener testa sia ai sapienti che agli atleti degli Eldar ai tempi della loro giovinezza” ; ma Tolkien la definisce proprio come “amazzone” nella sua gioventù, nella lettera 349 a Catharine Findlay del 6 marzo 1973: “In quell’epoca era un’amazzone per indole e quando partecipava alle competizioni atletiche si raccoglieva i capelli come una corona.” Eowyn e Galadriel: due guerriere, due nature diverse Particolare interessante: Tolkien, pur caratterizzando Éowyn nel Signore degli Anelli come guerriera e coraggiosa, non la definisce amazzone. Anzi, esclude che abbia queste caratteristiche, perché evidentemente non facevano parte della sua indole: il ruolo guerriero fu frutto solo delle circostanze. Galadriel, invece, viene esplicitamente caratterizzata come Amazzone, segno che nel suo carattere questo aspetto era incluso e ben radicato. Una Amazzone tra gli Elfi: autorità e modernità Insomma, c’è nel nostro autore l’uso di questo preciso termine, e Tolkien, essendo un filologo, non sceglie mai parole a caso : naturalmente non troviamo una “separazione” di questa Amazzone dal mondo del potere maschile, come spesso è il caso delle Amazzoni del mito greco, ma una convivenza e una capacità di Galadriel di avere autorità pari ai maschi, anzi forse di più. E tutto questo rende questo personaggio davvero molto moderno .

  • Tempo tra Chrono e Rolex: da misura a status

    Prima di tuffarci in questo lungo ed interessante discorso vorrei fare una premessa a tutti i lettori: l’orologio ai giorni d’oggi non è un semplice strumento per osservare il tempo, ma un oggetto che dà valore al tempo stesso. Le origini: Le meridiane e la misurazione solare Sin dai tempi antichi le forme primitive di orologio, dette meridiane, le quali, allineate al sole, utilizzavano la rotazione della Terra per misurare il tempo, erano fondamentali per le popolazioni. Soprattutto per suddividere la propria giornata in ore e non basarsi solamente sul levar e calar del sole. L’evoluzione: Dalla clessidra all’orologio ad acqua La meridiana venne usata per secoli e secoli, fino all’avvento della clessidra, inventata attorno al 150 a.C. Al contrario del precedente metodo di misurazione, era solitamente più minuta e tascabile, e non usava la nostra grande stella come punto di riferimento, ma bensì la sabbia o addirittura l’acqua nei modelli di derivazione romana, cambiando in meglio un mondo ancora nascente, che sboccerà alla fine del Settecento. La Grecia antica e l’ingegno dell’orologio a scappamento Con il passare degli anni, mentre la tecnologia si evolveva sempre di più, gli antichi Greci cercavano un modo per rendere più precisa la misurazione del Chronos . Idearono attorno al III secolo il primo orologio a scappamento alimentato ad acqua, simile a quello degli odierni orologi a pendolo, collegato ad un movimento intermittente. Finalmente un’opera orologeristica degna di essere chiamata tale. L’orologio come strumento popolare Questi primi paragrafi ci fanno intendere come, prima dell’avvento del lusso e dello “status”, le prime forme di orologeria, se così si possono chiamare, erano semplici, accessibili e chiare. Il Medioevo e la nascita dell’orologio meccanico I secoli passano e l’orologio non cambia più di tanto, o forse no. La nostra prossima fermata è nel XIV secolo, in pieno Medioevo. In un’epoca segnata da conflitti e carestie c’è un bagliore di luce, anzi, di metallo. Vi presento il primo vero e proprio orologio meccanico, con movimento a scappamento a verga, corredato da bilanciere e un semplice movimento. Il pendolo: simbolo di precisione ed élite Data l’inadeguatezza degli strumenti medievali per lavorare in modo preciso su piccole superfici, non inizieremo a vedere dei meccanismi più complicati non prima del 1656, anno della realizzazione dell’orologio a pendolo. Destinato soprattutto ai nobili e ai più ricchi, molto spesso placcato in oro, con al suo interno materiali pregiati e meccanismi intricati. L’orologio a pendolo sanciva l’inizio di un grande progresso ingegneristico e meccanico. E fu così, ma invito tutti a non dimenticarvi degli orafi che diedero la loro vita al progresso. Difatti, ogni giorno respiravano enormi quantità di vapori di piombo e mercurio per realizzare orologi. Nel 1656, Christiaan Huygens inventò l’orologio a pendolo, il più preciso all’epoca, con un margine di errore inferiore a un minuto al giorno. L’orologio da tasca e la nascita del lusso moderno Andiamo avanti di altri 200 anni, più precisamente a metà dell’800, quando dopo anni di sperimentazioni, fallimenti e piccoli grandi passi, l’orologio a pendolo divenne obsoleto. Era diventato ormai ingombrante e “vecchio” (una vera gara a chi ce l’ha più piccolo, come fece Steve Jobs con l’iPod). E così nacque l’orologio da taschino, l’epitome dell’eleganza maschile, un accessorio cruciale per un gentiluomo dell’epoca. Piccolo, dorato ed elegante, con un orologio da taschino non si passa inosservati. Qui possiamo osservare un’evoluzione: un orologio che non solo misura il tempo, ma dà un valore al tempo stesso. Ed è qui che inizia ad essere visto come un investimento e status symbol. Le grandi maison dell’orologeria e l’idea rivoluzionaria di Breguet Marchi come: Vacheron Constantin Patek Philippe Audemars Piguet Cartier Blancpain Capirono la necessità del pubblico di avere uno status symbol, cercando sempre un’alternativa migliore o comunque diversa dalla precedente. Ma un marchio riuscì meglio degli altri: Breguet , maison parigina, si pose una domanda: “E se iniziassimo a portare l’orologio sul polso?” Breguet si rispose da sola, dando l’occasione alla regina di Napoli di detenere il primo orologio da polso della storia. Citazione : “Secondo gli archivi di Breguet, nel 1812 Abraham-Louis Breguet realizzò per Carolina Murat, regina di Napoli, il primo orologio da polso documentato della storia.” Vorrei citare gli archivi di Breguet: un orologio di rara raffinatezza con cassa ovale sottile montato su un bracciale di capelli intrecciati con fili d’oro. La rivoluzione ROLEX e la cassa Oyster Più in là molte altre maison, svizzere, francesi ed italiane vennero fondate, ma una spiccava tra tutte: ROLEX . Una “house” di orologi fondata da Hans Wilsdorf a Londra, in seguito trasferita in Svizzera, più precisamente a Ginevra (patria dell’orologeria). ROLEX ha una visione: un orologio resistente all’acqua, tasto dolente degli orologi di quell’epoca. Così la maison brevetta la cassa OYSTER (ostrica), munita di guarnizioni a tenuta stagna per evitare l’entrata di acqua e umidità. Da veri geni del marketing, decisero di promuovere questa nuova scoperta assieme a Mercedes Gleitze , prima donna ad attraversare il Canale della Manica a nuoto. Nel 1927, Mercedes Gleitze nuotò nel Canale della Manica indossando un Rolex Oyster. Il suo orologio uscì dalla prova perfettamente funzionante. Il dopoguerra e la nascita dell’orologio come investimento Entrambe le guerre mondiali caddero come un macigno su una lastra di vetro, rallentando molto il progresso in tutti gli ambiti della tecnologia. Però, con il passare del tempo, l’inizio del sogno americano e i boom economici del dopoguerra, iniziò una nuova era per l’orologeria: quella dell’investimento. Gran parte della popolazione mondiale all’epoca poteva permettersi un orologio: da un Seiko con movimento al quarzo a un Patek Philippe “Ore del Mondo”. Questo fenomeno permise alle maison di concentrarsi sul rendere i propri orologi più complicati, sontuosi ed eleganti, spaziando dalle semplici lancette di ore e secondi, plasmando leggende come: lo Speedmaster il Daytona il Day-Date il Royal Oak il Calatrava il Nautilus l’Aquanaut Il presente e l’influenza dei media Ai giorni d’oggi il progresso non ha fine, è un mondo in continua evoluzione con appassionati da ogni angolo del mondo che investono in questo ambito da tempo, buttando un occhio non solo sull’orologio stesso ma sul lavoro che c’è dietro e il suo valore, affettivo o monetario che sia. È obbligatorio dire che anche i media, i film e le persone influenti hanno un’impronta non da poco sull’orologeria: personaggi come Paul Newman , John Mayer , Lady Diana , la Regina Elisabetta e quant’altro. Conclusione: Il tempo come valore e stile Un mondo davvero fantastico, pieno di sorprese e colpi di scena, degno di essere raccontato. “Non indosso un orologio per vedere il tempo, ma per far vedere che il mio tempo vale.”

  • Thunderbolts e gli Anti-eroi Greci: quando i cattivi fanno la cosa giusta

    Quando il confine tra bene e male sfuma in nome del potere, della giustizia o della vendetta. Nel vasto universo narrativo che va dalla mitologia classica alla cultura pop contemporanea, una figura continua a suscitare fascino, inquietudine e domande morali: l’ anti-eroe . Né completamente buono, né del tutto malvagio, l’anti-eroe si muove in una zona grigia, combattendo battaglie personali spesso più oscure di quelle contro i nemici. Questo archetipo ha origini antiche e radicate, che si possono rintracciare nella tragedia greca , e oggi vive una nuova vita in narrazioni moderne come quella dei Thunderbolts , il gruppo di anti-eroi (o ex-villain) dell’universo Marvel.

  • Dalla Repubblica Galattica all’Agorà: la Democrazia secondo Star Wars e l’Antica Grecia

    Il 4 maggio è ormai noto in tutto il mondo come Star Wars Day , grazie al celebre gioco di parole “May the Fourth be with you”. Ma oggi, tra droidi e spade laser, vogliamo spostarci dalla fantascienza alla filosofia, per esplorare un aspetto meno spettacolare ma cruciale della saga: la democrazia . Nella trilogia prequel di Star Wars (1999–2005), assistiamo al lento declino della Repubblica Galattica e alla nascita dell’Impero, per mano di un sistema democratico che si autodistrugge. Un tema che, sorprendentemente, riecheggia le preoccupazioni e le riflessioni dei filosofi e politici ateniesi del V e IV secolo a.C., in un momento in cui anche la democrazia antica si dimostrava fragile, minacciata dall’interno e dall’esterno. Cosa può insegnarci Star Wars sull’Atene classica? E cosa ci dice, in fondo, la storia di Atene su Star Wars ?

  • Museo dell'Acropoli di Atene: aperta la nuova Area Permanente dedicata allo scavo per il 15 Anniversario del Museo

    Il Museo dell’Acropoli di Atene ha recentemente inaugurato una nuova area espositiva permanente: il “Museo dello Scavo” . Questa sezione, situata sul lato meridionale del sito archeologico, presenta oltre 1.150 manufatti che coprono un arco temporale di 4.500 anni, offrendo ai visitatori un’immersione nella vita quotidiana di un antico quartiere ateniese . Organizzati tematicamente e cronologicamente, gli oggetti esposti illustrano vari aspetti della vita domestica, le attività di uomini, donne e bambini, l’intrattenimento, la comunicazione, il commercio, gli spazi di lavoro e i luoghi di culto . Questa esposizione permette di comprendere meglio le abitudini e le pratiche quotidiane degli antichi ateniesi, offrendo una prospettiva unica sulla loro società. Il “Museo dello Scavo” rappresenta un’aggiunta significativa al Museo dell’Acropoli, arricchendo l’esperienza dei visitatori e approfondendo la comprensione della storia di Atene. Per ulteriori informazioni e per pianificare la visita, è possibile consultare il sito ufficiale del museo .

  • Dark: il Tempo Ciclico tra Mito e Scienza

    Nel cuore della Foresta di Winden, tra caverne, tunnel temporali e antiche profezie, la serie Dark di Netflix costruisce un labirinto narrativo che ha affascinato milioni di spettatori. Ma al di là degli intrighi familiari e dei paradossi temporali, Dark è anche — e forse soprattutto — una riflessione profonda su un concetto antichissimo: il tempo. Non il tempo lineare, storico, cronologico, ma quello circolare , rituale , mitico . Un’idea che affonda le radici proprio nella cultura dell’Antica Grecia.

  • Prima della Terra di Mezzo c'era Omero: dalle rive dell’Egeo alle pendici del Monte Fato

    Il 2 Dicembre 1953, in una lettera a padre Robert Murray, J.R.R Tolkien scrisse: “Sono stato cresciuto con i Classici, e ho scoperto per la prima volta la sensazione del piacere letterario con Omero”. Questo è un aspetto di Tolkien che si sottolinea sempre troppo poco, forse perché è più comodo incasellare l’autore in una sola nicchia, nel suo caso il mondo “norreno”. Ma questo è un errore, perché senza la profonda consapevolezza che Tolkien derivi il suo piacere letterario da Omero non si riesce del tutto a cogliere la sua grande capacità di creare realtà in cui convivono epica e tragedia, commedia e dramma. Il rapporto coi Classici, in lui, è fecondo, e su questi lidi lo abbiamo visto spesso, attraverso le ispirazioni classiche di alcune sue storie. Ma quello che vorrei affrontare oggi è un aspetto ancora meno analizzato: cioè quanto il mondo classico abbia contato nella formazione di Tolkien. Se si va a leggere il volume Tolkien’s Library di Oronzo Cilli, che ci mostra quali libri Tolkien leggesse e possedesse, vediamo molti volumi di Classici greci e latini posseduti da Tolkien mentre andava a scuola Birmingham e all’Università a Oxford: da Euripide a Eschilo, arrivando a Omero, ovviamente, ma anche autori particolarissimi come Ditti Cretese e Darete Frigio, autore di versioni “scomode” e “non epiche” della guerra di Troia e del ciclo Omerico. Questo dimostra una curiosità notevole in Tolkien e soprattutto una forte “alimentazione Classica” che lo hanno permeato, inconsciamente o no, nella sua futura creazione artistica.

  • Tecniche chimiche e metallurgiche nella Grecia antica: scienza, fuoco e metalli tra mito e pratica

    Quando pensiamo alla chimica nella Grecia antica, immaginiamo forse solo i filosofi intenti a riflettere sull’essenza della materia. Ma accanto alla speculazione, c’era una ricca tradizione pratica : metallurgia, ceramica, produzione di pigmenti e profumi. L’abilità tecnica degli artigiani greci, pur non essendo “chimica” nel senso moderno, si fondava su una profonda comprensione empirica dei materiali. Queste tecniche rivelano quanto la chimica, prima ancora di essere una scienza, fosse un saper fare , un’arte trasformativa. Metallurgia: il fuoco come strumento di conoscenza La lavorazione dei metalli era centrale nell’economia e nella cultura greca. Già in epoca micenea (XVI-XII sec. a.C.), il bronzo – lega di rame e stagno – era ampiamente utilizzato per armi, strumenti e statue. Successivamente, il ferro prese il sopravvento, segnando una svolta tecnologica. “Il ferro domato dall’uomo è figlio del fuoco e del soffio” – Pseudo-Aristotele, “Mechanica” Il processo metallurgico implicava l’estrazione del minerale, la riduzione del metallo tramite fusione e la purificazione. Sebbene i greci non disponessero del concetto moderno di elementi o reazioni redox, padroneggiavano tecniche sofisticate: forni con tiraggio regolato, uso di flussi (come sabbia o borace), e conoscenza empirica dei punti di fusione. A Laurion, vicino ad Atene, le miniere di argento erano tra le più produttive del mondo antico. Gli schiavi lavoravano per ore in cunicoli angusti, mentre il minerale veniva fuso in forni alimentati a carbone vegetale. L’argento veniva poi separato dal piombo con tecniche di copellazione : si riscaldava il metallo in recipienti porosi che assorbivano il piombo ossidato, lasciando l’argento puro. Oro e alchimia primitiva Oltre all’argento, anche l’ oro rivestiva un ruolo sacro ed estetico. La Grecia non aveva miniere aurifere significative, quindi molto dell’oro veniva importato o recuperato da fiumi mediante panni di lana, una tecnica descritta anche nella leggenda del vello d’oro . “Si gettava la pelle nel fiume per raccogliere l’oro: non è solo mito, ma tecnica.” – Strabone, “Geografia” Nel mondo ellenistico, soprattutto ad Alessandria, si iniziarono a sperimentare tentativi di trasformazione dei metalli vili in oro. Questo non era solo inganno: rifletteva una visione filosofica della materia come trasformabile , un’idea che alimenterà poi l’alchimia. Pigmenti e coloranti: la chimica dell’arte La pittura greca, soprattutto quella vascolare, utilizzava pigmenti ottenuti da minerali e sostanze vegetali. Il cinabro (solfuro di mercurio) forniva un rosso brillante, mentre l’azzurrite e la malachite venivano usate per i toni blu e verdi. Un pigmento celebre era il blu egizio , prodotto sin dal II millennio a.C. ma noto anche in Grecia. Era una miscela artificiale a base di silice, rame, calcio e sodio, cotta ad alte temperature: una vera sintesi chimica ante litteram. “Non si dipinge con colori, ma con la materia dei sogni” – attribuito a Polignoto di Taso Il porpora, derivato dal murice, era invece tanto prezioso quanto raro. Per ottenere una piccola quantità di tintura, servivano migliaia di molluschi: per questo divenne simbolo di regalità. Vetro e ceramica: l’alchimia della sabbia I greci non furono i primi produttori di vetro (l’Egitto e la Mesopotamia li precedettero), ma ne raffinarono l’uso artistico. Il vetro era prodotto fondendo sabbia silicea con soda (carbonato di sodio), a cui si potevano aggiungere coloranti metallici. Sebbene ancora opaco, era impiegato per gioielli, amuleti, e piccoli contenitori. Nella ceramica, la padronanza dei greci è nota: basti pensare ai vasi attici a figure nere e rosse. La chimica era implicita nella regolazione dell’atmosfera del forno (ossidante o riducente), che determinava la colorazione delle superfici. Profumi e cosmetici: laboratorio e sensualità Nel mondo greco, i profumi non erano solo lussi: avevano valore religioso, sociale e medico. Venivano estratti per infusione di oli con fiori, resine o spezie. Le botteghe di profumieri , dette myrepsa , potevano essere considerate i primi laboratori di chimica applicata. “I profumi sono un’arte: la più fugace delle scienze.” – Teofrasto, “De Odoribus” Il trattato De Odoribus di Teofrasto descrive dettagliatamente le tecniche di estrazione, dimostrando un’attenzione quasi scientifica alla preparazione. Conclusione Sebbene mancasse la teoria atomica o la tavola periodica, nella Grecia antica la chimica era già azione, intuizione, trasformazione . Gli artigiani e i filosofi, ciascuno a modo proprio, esploravano la natura dei materiali. Queste tecniche, radicate nella realtà quotidiana, avrebbero gettato le basi per la futura scienza della materia.

  • Report AGE 2025

    Cosa può insegnarci oggi il mondo greco? È possibile che un’eredità millenaria continui a nutrire creatività, tecnologia, linguaggio e innovazione sociale? A queste domande ha risposto AGE 2025 , la seconda edizione dell’evento ideato e organizzato da Neosellen , il network culturale che conta oggi oltre 3 milioni di membri e 14 milioni di visitatori in tutto il mondo. Una riflessione a più voci sull’attualità del pensiero greco, articolata in due momenti distinti — Gallery e Conference — che si sono tenuti a Chieti dall’ 8 al 10 aprile , in presenza e online. AGE 2025 è stato parte integrante del progetto regionale “La Città delle Muse”, ma si è distinto per un’impronta specificamente internazionale, capace di connettere il mondo classico ai linguaggi della contemporaneità. Con un mix di arte visiva, design sociale e divulgazione, AGE 2025 ha coinvolto figure di primo piano del panorama culturale e creativo europeo. La Gallery: il mito greco reinterpretato dai maestri del segno La prima sezione dell’evento, la Gallery , si è svolta il 7 e 8 aprile nell’atrio del Palazzo della Provincia di Chieti, con un vernissage inaugurale il pomeriggio del 7 aprile nella Sala Consiliare. Il cuore dell’esposizione? Una straordinaria selezione di opere che rilegge in chiave pop, ironica e politica i temi dell’ immaginario greco . Tra gli artisti esposti spicca Gerald Scarfe , storico illustratore della Disney e autore della concept art per il film d’animazione “Hercules” (1997), le cui linee espressive e dinamiche hanno dato forma a personaggi come Ade ed Ercole. Le sue tavole originali, esposte per la prima volta in Abruzzo, hanno mostrato come la mitologia classica possa ancora parlare con il linguaggio del cartoon. Accanto a Scarfe, anche cinque opere inedite di Banksy , pensate appositamente per l’evento, hanno sorpreso il pubblico con riferimenti al mondo greco reinterpretati attraverso la sua inconfondibile cifra satirica: Eracle con uno smartphone, Atena in tuta antisommossa, Pericle in versione street artist. Infine, non poteva mancare un tocco tutto italiano: Sio, Dovadola e Toninelli , disegnatori della casa editrice Gigaciao , hanno presentato alcune tavole umoristiche ispirate all’epica, alla filosofia e al teatro greco, con una sensibilità fresca e un’ironia tutta contemporanea. La Conference: pensare il presente con le lenti del mondo greco L’8 aprile si è svolta la AGE 2025 Conference , il momento più denso e riflessivo dell’intero evento. Ospitata nella Sala Consiliare della Provincia di Chieti , la conferenza ha riunito quattro relatori d’eccezione, provenienti da ambiti diversi ma uniti dall’idea che il mondo classico possa essere un motore di cambiamento e consapevolezza . Ad aprire il pomeriggio è stato Rama Gheerawo , direttore dell’ Helen Hamlyn Centre for Design (Royal College of Art di Londra), uno dei massimi esperti mondiali di design inclusivo . Gheerawo ha mostrato come i principi dell’estetica greca — equilibrio, armonia, proporzione — possano ancora guidare il design sociale e accessibile del XXI secolo. È seguito Pete Kercher , ambassador europeo del network Design for All, che ha tracciato un filo diretto tra democrazia ateniese e progettazione partecipata , sottolineando come la cittadinanza attiva e la co-creazione siano elementi di un’“etica del progetto” che affonda le radici nel pensiero classico. Raffaella Massacesi , docente di semiotica e comunicazione visiva, ha invece esplorato l’evoluzione dei simboli greci nella cultura pop, dal cinema alla pubblicità. I suoi esempi — da Matrix alla Nike — hanno dimostrato quanto l’immaginario greco sia ancora vivo nei linguaggi visivi contemporanei. A chiudere, Vincenzo Maselli , motion designer, ha offerto una riflessione sull’ attualità dello stop motion e dell'animazione , presentando progetti in cui la narrazione del patrimonio antico diventa strumento di educazione civica e partecipazione. L’intera Conference è stata trasmessa in streaming su Neosellen.com , dove ha continuato anche nei giorni successivi, 9 e 10 aprile , con contenuti extra, panel tematici e interviste. Un formato ibrido, inclusivo, capace di superare i confini geografici e portare l’eco del pensiero greco ovunque ci fosse connessione. Una nuova classicità per un nuovo pubblico AGE 2025 ha avuto il merito di tradurre la classicità in esperienze vive , accessibili e stimolanti. Nessuna nostalgia polverosa, nessun rimpianto accademico: l’obiettivo è stato quello di riscoprire il mondo greco non come reliquia, ma come fonte attiva di pensiero , capace di orientare le scelte individuali e collettive in un’epoca di trasformazione. In questa direzione, le attività di AGE 2025 si sono inserite pienamente nell’obiettivo più ampio del progetto che lo ha ospitato: dimostrare come la ricerca, quando sostenuta e comunicata , possa avere un impatto diretto sulla vita dei cittadini, sui territori e sull’immaginario comune. Un messaggio in perfetta sintonia con la visione di Neosellen: coniugare cultura, innovazione e accessibilità . Come ha affermato il professor Carmine Catenacci , Prorettore vicario dell’Università “Gabriele d’Annunzio”: “L’evento AGE 2025 evidenzia come la cultura greca continui a pervadere la società contemporanea e come, attraverso lo studio del passato, sia possibile comprendere meglio il presente e affrontare il futuro in modo più responsabile e creativo.” Un’eredità che non appartiene solo al passato, ma che parla — forte e chiaro — al futuro.

  • Solo un Sith vive di Assoluti: Star Wars e il Pensiero Sofista

    “Solo un Sith vive di assoluti.” Con questa frase, Obi-Wan Kenobi sfida il suo ex allievo Anakin Skywalker, ormai passato al lato oscuro della Forza. È una battuta entrata nell’immaginario collettivo, non solo per il suo tono drammatico, ma anche per il sottotesto filosofico che racchiude. Ma cosa significa davvero vivere “di assoluti”? E perché, secondo i Jedi, è un segno del lato oscuro? Per capirlo, può essere sorprendentemente utile guardare indietro, a ben prima di George Lucas: all’antica Grecia, al pensiero dei sofisti. La trappola dell’assoluto Nel mondo di Star Wars, i Sith sono guidati da una visione rigida del bene e del male. Per loro, il potere è tutto, e ogni situazione ha una sola verità, una sola via. Anakin, prima di diventare Darth Vader, arriva a dire: “Se non sei con me, allora sei mio nemico.” È questo tipo di pensiero binario – bianco o nero, giusto o sbagliato, amico o nemico – che Obi-Wan condanna. Una visione assolutista non lascia spazio al dubbio, alla mediazione, alla comprensione dell’altro. E, come vedremo, era esattamente ciò che i sofisti  mettevano in discussione. Chi erano i sofisti? I sofisti erano maestri di retorica e filosofia attivi nella Grecia del V secolo a.C. (pensiamo a figure come Protagora, Gorgia, Ippia). La loro caratteristica principale? L’idea che la verità non è unica né assoluta , ma relativa al punto di vista, al contesto, e alla capacità di argomentare. Protagora è famoso per aver detto: “L’uomo è misura di tutte le cose.” In altre parole, ciò che è vero o giusto non è universale, ma dipende dalla percezione e dall’esperienza del singolo. Questo relativismo era visto con sospetto da filosofi come Socrate e Platone, che cercavano una verità stabile e oggettiva. Ma in un mondo complesso, i sofisti avevano colto qualcosa di fondamentale: il potere del linguaggio e del pensiero critico per navigare l’incertezza. Jedi e sofisti: più vicini di quanto sembri? Tornando a Star Wars, la posizione dei Jedi è curiosa. Obi-Wan accusa Anakin di vivere di assoluti, eppure la sua stessa frase è un’affermazione assoluta. Un paradosso? Forse. Oppure un modo per dire che l’attaccamento fanatico a una verità unica è pericoloso , anche se a volte il linguaggio ne è intrinsecamente imbevuto. Da un certo punto di vista, i Jedi, con la loro enfasi su equilibrio, autocontrollo e compassione, sono molto più vicini ai sofisti di quanto non lo siano i Sith. Non perché relativizzino ogni valore, ma perché riconoscono la complessità morale del mondo , e invitano a rispondere con riflessione, non con dogma. Conclusione: la Forza del dubbio Nel nostro tempo, così spesso segnato da polarizzazione e verità urlate, l’insegnamento sofista risuona ancora: mettere in discussione gli assoluti, riconoscere che la realtà è fatta di sfumature, e che il dialogo è più potente dello scontro. In fondo, la Forza – come la verità – non scorre in una sola direzione .

  • I Filosofi Greci e lo Smart Working: cosa avrebbero pensato Platone e Aristotele del lavoro da remoto?

    Negli ultimi anni, il mondo del lavoro ha subito una trasformazione profonda. La diffusione dello smart working — o lavoro da remoto — ha ridisegnato tempi, spazi e relazioni professionali. Molti lo hanno accolto come una conquista di flessibilità e autonomia. Altri ne denunciano gli effetti collaterali: isolamento, confini sfumati tra vita privata e lavorativa, perdita del contatto umano. Ma se ci fermassimo a riflettere con occhi diversi, magari quelli di Platone e Aristotele , come interpreterebbero i filosofi dell’antica Grecia questa rivoluzione silenziosa? In fondo, le grandi domande che si celano dietro lo smart working — sul senso del lavoro, sull’equilibrio tra individuo e comunità, sulla qualità delle relazioni — non sono poi così moderne . Anche i Greci, a modo loro, se le erano già poste. Platone: il valore del dialogo e il rischio dell’illusione Platone, allievo di Socrate e autore della celebre Repubblica , aveva una visione molto strutturata della società ideale. Ogni individuo, secondo lui, doveva occupare il posto che gli era più congeniale in base alle proprie capacità. Il lavoro, quindi, era una funzione essenziale per il buon funzionamento della comunità, non soltanto un mezzo di sostentamento individuale. Tuttavia, Platone attribuiva un ruolo fondamentale al dialogo diretto , alla relazione faccia a faccia come strumento di costruzione della verità. La conoscenza autentica, per lui, non poteva passare attraverso la mediazione di strumenti o di rappresentazioni: doveva essere vissuta nel confronto reale , nella presenza fisica dell’altro. Probabilmente, Platone guarderebbe con una certa diffidenza allo smart working . Non tanto perché contrario all’innovazione, quanto perché sospettoso verso qualsiasi realtà “simulata”. Come nel mito della caverna, dove gli uomini scambiano le ombre per la realtà, anche nel lavoro da remoto si potrebbe rischiare — secondo Platone — di confondere la connessione digitale con la vera relazione umana . Aristotele: equilibrio tra lavoro, benessere e socialità Aristotele, più pragmatico e osservatore della realtà quotidiana rispetto al suo maestro, avrebbe forse offerto una lettura più articolata dello smart working. Nel suo pensiero, ogni attività umana dovrebbe tendere alla eudaimonia , un concetto che potremmo tradurre come “realizzazione piena”, “felicità consapevole”, “benessere duraturo”. Il lavoro, in questa visione, non è un fine in sé , ma uno strumento attraverso il quale l’individuo può esprimere le proprie virtù, contribuire alla comunità e sviluppare la propria natura. Se lo smart working permette a una persona di vivere meglio , di avere più tempo per sé, per la famiglia, per la riflessione, per la salute fisica e mentale, Aristotele lo considererebbe probabilmente positivo . Ma il filosofo non trascurerebbe i rischi impliciti . Aristotele attribuiva grande valore alla dimensione sociale dell’uomo . “L’essere umano è per natura un animale politico”, scriveva: ciò significa che non possiamo realizzarci pienamente senza confronto, senza appartenenza, senza relazioni concrete. Il lavoro, inteso solo come performance individuale da svolgere in solitudine, rischierebbe di allontanarci dalla nostra natura profonda . Il giusto mezzo: autonomia e connessione Proprio perché amava il giusto mezzo, Aristotele ci offrirebbe un consiglio che oggi suona più attuale che mai: evitare gli eccessi . Da un lato, la rigidità del lavoro in presenza, che spesso comprime la vita personale e impone ritmi insostenibili. Dall’altro, l’isolamento del lavoro totalmente remoto, che può portare a disconnessione emotiva, perdita di senso del gruppo e difficoltà comunicative. La sintesi tra le visioni di Platone e Aristotele ci suggerisce allora una via equilibrata : non respingere la tecnologia, ma usarla con consapevolezza ; non idealizzare la presenza fisica, ma nemmeno rinunciare al valore insostituibile della relazione diretta. Una forma di lavoro ibrido, capace di coniugare autonomia e socialità , potrebbe essere la risposta più vicina alla saggezza greca. Lo smart working come opportunità educativa C’è un’altra lezione che possiamo trarre da questi filosofi. Per entrambi, l’attività umana — incluso il lavoro — non è mai solo operatività , ma anche formazione dell’individuo . Lavorare, per Platone e Aristotele, significa anche imparare a pensare, a scegliere, a migliorarsi. In questo senso, il lavoro da remoto, se gestito con responsabilità, può offrire spazi di crescita personale che la routine dell’ufficio spesso nega: più tempo per leggere, per riflettere, per coltivare interessi. Ma tutto questo richiede disciplina, autoconsapevolezza e senso critico . Senza queste virtù, il rischio è che lo smart working diventi solo un’altra forma di alienazione, mascherata da libertà. La sfida del futuro: umanesimo digitale Alla luce di tutto ciò, il tema dello smart working non è solo tecnologico o organizzativo, ma profondamente filosofico . Si tratta di ripensare che tipo di esseri umani vogliamo essere , e come vogliamo vivere il tempo del lavoro nel contesto di una vita piena e significativa. Platone ci ricorderebbe che la verità non nasce dallo schermo , ma dallo scambio reale. Aristotele ci inviterebbe a cercare un equilibrio dinamico tra efficienza, libertà e relazione. Entrambi ci spingerebbero a non accettare passivamente le trasformazioni, ma a interrogarle con spirito critico , cercando sempre il bene comune e la fioritura dell’individuo. Tra antichi filosofi e nuove abitudini Lo smart working non è né una panacea né una minaccia. È uno strumento. E come ogni strumento, dipende da come lo usiamo . Può diventare un’occasione per ridefinire il nostro rapporto con il tempo, con gli altri, con noi stessi. Oppure, al contrario, può trasformarsi in una nuova caverna, dove scambiamo la comodità per realizzazione, la connessione per relazione, la produttività per senso . Se Platone e Aristotele potessero osservarci oggi, probabilmente ci chiederebbero: stai lavorando da casa… ma per cosa? Stai davvero vivendo meglio? O ti stai solo adattando a un mondo che ti chiede di essere sempre disponibile, ma mai davvero presente? La vera questione non è dove lavoriamo, ma come lavoriamo — e per quale scopo . In fondo, anche per i Greci, il lavoro migliore era quello che ci rendeva più liberi, più consapevoli, più umani .

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